Le sottovarianti di Omicron, come BA.2, BA.4 e BA.5, indicano che il virus sta cambiando. Le ondate, però, iniziano a essere più prevedibili
Le sottovarianti di Omicron, come BA.2, BA.4 e BA.5, sono la spia del fatto che il virus Sars-CoV-2 sta cambiando, al punto che potrebbe portare a ondate periodiche. Lo rilevano gli esperti sentiti da Nature, in un’analisi pubblicata sul sito della rivista.
Se le prime varianti, come Alfa, Delta e la stessa Omicron, erano molto diverse da quelle che le avevano precedute, le sottovarianti di Omicron hanno somiglianze di famiglia che permettono facilmente di ricostruirne l’origine, inoltre si diffondono più velocemente di quanto non facesse Omicron, potrebbero sfuggire più facilmente agli anticorpi e causare ondate periodiche, come sembrano attualmente fare in Sudafrica le sottovarianti BA.4 e BA.5, e in Nord America la BA.2.12.1.
Le nuove sottovarianti di Omicron potrebbero segnare il passaggio a ondate simili a quelle dei virus influenzali, anche ogni sei mesi, secondo l’ipotesi del biologo evoluzionista Tom Wenseleers, dell’Università Cattolica belga di Lovanio. Secondo il ricercatore non si possono nemmeno escludere "rimonte" di varianti che ora sembrano svanite, come la Delta.
Il Sudafrica potrebbe essere fra i primi Paesi a sperimentare la nuova ondata epidemica spinta da BA.4 e BA.5, come osserva la virologa Penny Moore, dell’Università del Witwatersrand, a Johannesburg. La buona notizia, prosegue, è che le ondate di Covid-19 cominciano a seguire percorsi prevedibili, con nuove ondate che periodicamente emergono dai ceppi in circolazione.
"Sono i primi segnali che il virus si sta evolvendo in modo diverso" rispetto a quanto faceva due anni fa, quando le varianti sembravano venire fuori dal nulla, dice il bioinformatico Tulio de Oliveira, dell’Università sudafricana Stellenbosch. I dati di Oliveira indicano che BA.4 e BA.5 sono comparse, rispettivamente, a metà dicembre 2021 e all’inizio di gennaio 2022. Entrambe ora sono responsabili dal 60 al 75% dei casi in Sudafrica, dove da marzo i nuovi casi sono aumentati dalla media di 1’200 a circa 5’000 al giorno.
Per il biologo evoluzionista Jesse Bloom, del centro di ricerca Fred Hutchinson di Seattle, non è chiaro se la maggiore capacità di diffondersi delle nuove sottovarianti si debba alla capacità di sfuggire più facilmente agli anticorpi. L’ipotesi è in linea con i dati del virologo Alex Sigal, del sudafricano Health Research Institute di Durban. L’attenzione è puntata sulla mutazione chiamata F486V, localizzata nella proteina Spike, con la quale il virus Sars-CoV-2 si aggancia alle cellule umane. La capacità di sfuggire agli anticorpi sta emergendo, infine, anche per la sottovariante BA.2.12.1, individuata in Nord America, secondo la ricerca coordinata dal virologo David Ho, della Columbia University a New York.