1,2 milioni di tonnellate l’anno. Lo ha calcolato l’università francese di Tolosa, analizzando 50 missioni spaziali e 40 telescopi terrestri
I grandi telescopi spaziali e quelli sulla Terra sono grandi produttori di CO2, pari a 1,2 milioni di tonnellate l’anno. Lo ha calcolato l’università francese di Tolosa e il risultato è pubblicato sulla rivista Nature Astronomy. La ricerca, coordinata da Jürgen Knödlseder, ha analizzato 50 missioni spaziali e 40 telescopi terrestri. È emerso così che, fra i telescopi spaziali, le emissioni maggiori di gas serra provengono dal giovanissimo telescopio spaziale James Webb, frutto di una collaborazione internazionale tra Nasa, Agenzia spaziale europea (Esa) e Agenzia spaziale canadese (Csa); fra i telescopi basati a Terra dallo Square Kilometre Array (Ska), il progetto internazionale in costruzione in Australia e Sudafrica. Ciascuno dei due programmi, secondo la ricerca, immette nell’atmosfera 300’000 tonnellate di CO2.
Finora, lo studio dell’impatto climatico della ricerca astronomica e spaziale si era concentrato prevalentemente sui gas serra emessi durante i voli presi per partecipare alle conferenze accademiche e sui costi energetici nell’utilizzo dei supercomputer. Seguendo il metodo sviluppato dall’Agenzia francese per la transizione ecologica (Ademe) e dall’Associazione francese Bilan Carbone (Abc), i ricercatori si sono invece concentrati sulle strutture di ricerca localizzate a Terra e nello spazio, prendendo in considerazione materiali di costruzione, costi operativi, consumi di elettricità e il peso di lancio per le missioni spaziali.
I risultati mostrano un’impronta di carbonio totale (misura che esprime le emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o indirettamente) equivalente a circa 20,3 milioni di tonnellate di anidride carbonica, ed emissioni annuali equivalenti a 1,2 milioni di tonnellate. Si tratta di una cifra circa 5 volte superiore rispetto alle stime legate ai voli di lavoro, con le missioni spaziali responsabili di almeno un terzo delle emissioni totali.
Secondo gli autori dello studio, la chiave per una maggiore sostenibilità starebbe in un ritmo meno accelerato nella costruzione di infrastrutture astronomiche, insieme ad una scienza più ‘lenta’, che valorizzi maggiormente gli archivi di dati anziché l’acquisizione di nuovi e che riduca la pressione sui ricercatori riguardo al numero di pubblicazioni scientifiche.