Flotte pescherecce commerciali sempre più prese di mira dal mammifero marino.‘È meno impegnativo che immergersi in profondità’
È una sorta di legge di compensazione, dove ciò che l’essere umano toglie alla fauna ittica, la fauna ittica si riprende. Una popolazione di orche dell’Oceano Indiano meridionale ha infatti adottato una forma decisamente più pratica e soprattutto più opportunistica per sfamarsi. Ossia andare a procacciarsi la materia prima, il pesce, a colpo sicuro, cercando dove sicuramente lo troveranno: nelle flotte pescherecce commerciali. È quanto ha stabilito uno studio portato a termine da un team di ricercatori, principalmente affiliati all’Ifremer e al Cnrs francese. Lo studio, durato diciotto anni e terminato nel 2018, ha preso in esame una popolazione di due specie di orche, caratteristiche delle acque gelide delle isole Crozet, un arcipelago delle Terre Australi e Antartiche francesi.
L’orca, un super-predatore che può raggiungere gli 80 anni di vita, è anche il mammifero marino più frequentemente accusato di ‘depredazione’ a spese delle flotte pescherecce, nutrendosi direttamente delle loro catture con palangari, reti a strascico. Questo fenomeno ha coinciso con lo sviluppo, negli anni ’90, della pesca con il palangaro di una specie apprezzata dai consumatori, l’austromerluzzo della Patagonia, nelle acque del Sud e in particolare a Crozet.
Lo studio, pubblicato su Biology Letters, si basa su quasi 120’000 foto di orche, scattate dalla costa o direttamente dalla flotta di sette pescherecci autorizzati dalla Francia a lavorare nella zona. Si distinguono per la forma delle loro pinne e per le macchie bianche sugli occhi e sulla pinna dorsale, che spiccano sulla pelle nera.
La loro tecnica di depredazione è inarrestabile, come dimostrano i filmati subacquei. «L’orca arriva e ‘succhia’ il pesce, lasciando solo la testa attaccata all’amo – spiega la biologa dell’Ifremer Morgane Amelot, autrice principale dello studio –. Molto abile, anche delicato, l’animale evita accuratamente le ferite. Ma è soggetto a rappresaglie da parte dei pescatori, soprattutto quelli illegali, che possono, per esempio, «usare cariche esplosive per sbarazzarsi delle orche intorno alle barche».
Nelle acque sorvegliate di Crozet, dove la caccia ai bracconieri iniziata nei primi anni 2000 ha dato i suoi frutti, i ricercatori hanno notato un forte aumento del numero di orche ‘predatrici’, passate dai circa 50 esemplari del 2003 ai quasi 150 del 2018.
Lo studio ha evidenziato come le cosiddette orche ‘regolari’, usualmente dedite alla caccia vicino alla costa, si erano spostate in gruppi nella zona dei pescherecci da traino, che pescano al largo. Oggi, questi animali «sono quasi tutti predatori, e stiamo vedendo un’accelerazione in questa transizione».Sono diversi i fattori che concorrono a questa tendenza: per loro indole, le orche regolari sono predatori generalisti, cioè che «mangiano praticamente tutto quello che passa» sotto il loro naso. E questo le rende particolarmente propense a sperimentare nuove esperienze gastronomiche. In secondo luogo, l’animale ha un’organizzazione molto sociale, con fenomeni di trasmissione e apprendimento che favoriscono lo scambio di nuove tecniche di pesca. Infine, l’orca è un animale molto opportunista. I ricercatori suppongono che in questo caso abbia colto i vantaggi di un facile accesso a una fonte di cibo scelta e regolare: l’austromerluzzo della Patagonia, impropriamente chiamato branzino cileno, che è un pesce grasso di profondità. ‘Rifornendosi’ nelle flotte pescherecce si garantiscono un accesso «a questa risorsa a un costo inferiore, senza la necessità di immergersi in profondità per nutrirsi degli individui più grandi. Tutto quello che devono fare è aspettare il momento in cui le reti vengono ritirate. Questa transizione illustra la velocità con cui alcune specie si adattano ai cambiamenti del loro ambiente che coinvolgono l’essere umano».