Studiata la genetica della particolare simmetria frattale di questa pianta
Si rimane facilmente incantati, al reparto ortofrutta del supermercato, davanti alle forme del broccolo romanesco, con la sua particolare simmetria che si ripete. Conosciuto in centro Italia già nel Cinquecento, questa particolare varietà di cavolo – la specie è Brassica oleracea – presenta quella che i matematici chiamano “omotetia interna”; in altre parole, la sua struttura si ripete identica ma con diverse dimensioni e ogni protuberanza del broccolo romanesco ha la forma di un piccolo broccolo, incluse delle altre piccole protuberanze a loro volta a forma di broccolo romanesco e così via. Ovviamente limiti biologici e fisici arrestano questo miniaturizzato riproporsi dell’uguale, ma con la mente possiamo proseguire indefinitamente questo processo.
Questo “broccolo romanesco perfetto” ha una caratteristica particolare: pur avendo un volume definito – l’infiorescenza, che poi è la parte che mangiamo, è finita –, ha una superficie infinita, dal momento che più ingrandiamo la struttura più scopriamo dettagli. La superficie del broccolo romanesco ideale ha quindi più di due dimensioni, ma meno di tre: una dimensione non intera, frazionaria, e per tale motivo questi strani oggetti, questi “mostri matematici” si chiamano frattali. A scegliere il nome è stato il matematico polacco naturalizzato francese Benoît Mandelbrot: personaggio eccentrico – di famiglia ebraica, durante l’occupazione nazista rischiò più volte la vita e ricevette dallo zio un’educazione decisamente non convenzionale, a base di partite di scacchi e mappe da studiare – che si racconta trovò il termine sfogliando il dizionario di latino del figlio. Grazie a lui abbiamo non solo una formalizzazione delle proprietà dei frattali, prima descritti solo in maniera non sistematica, ma anche delle bellissime immagini generate da computer (era ricercatore presso la Ibm) e la loro ubiqua presenza, dall’arte alla pubblicità.
In natura i frattali sono peraltro molto comuni, ad esempio nelle foglie e nelle conchiglie, anche se la loro presenza è solitamente più discreta rispetto al broccolo romanesco, con strutture meno simmetriche.
Alla natura piacciono i frattali, quindi. Un po’ perché è ricca di fenomeni ricorsivi che, soprattutto se avvengono a diverse scale, danno appunto origine a strutture più o meno frattali – dall’erosione delle coste ai fiocchi di neve –, un po’ perché negli esseri viventi rappresentano un’ottima soluzione per avere superfici estese in poco spazio.
Resta il mistero del broccolo romanesco: spesso troviamo strutture a spirale, ma la moltitudine di spirali annidate su una vasta gamma di scale che riscontriamo in generale nei cavolfiori e nel broccolo romanesco in particolare è insolita, scrivono alcuni ricercatori del Centre national de la recherche scientifique francese in un articolo pubblicato su ‘Science’.
Quello che accade è che la parte commestibile di queste piante è una infiorescenza che non arriva mai allo stadio floreale perché, invece di diventare appunto dei fiori veri e propri, riprende da capo il ciclo creando nuove infiorescenze più piccole. Una sorta di reazione a catena che i ricercatori hanno analizzato a livello molecolare combinando modellazione matematica ed esperimenti, ricostruendo la rete di regolazione genica che sta dietro lo sviluppo di queste strutture.
A determinare la forma della pianta non è infatti un singolo gene, ma una rete di più geni che si influenzano tra di loro. Una rete che il processo di domesticazione umana che ha portato dal cavolo al cavolfiore ha modificato portando a questa infiorescenza su infiorescenza. La forma atipica del broccolo romanesco è legata a un’ulteriore perturbazione di questa rete di regolazione che porta i suoi steli a produrre gemme sempre più rapidamente (il tasso di produzione è invece costante negli altri cavolfiori). Questa accelerazione dà ad ogni cimetta un aspetto piramidale, rendendo evidente l’aspetto frattale della struttura.
Una ricerca importante non solo perché ricostruisce la rete di regolazione dei geni che sta dietro la forma di queste piante, ma anche come modificando pochi parametri si possano ottenere, in natura, strutture complesse.