Scienze

Valanghe, il know how svizzero presto nel patrimonio Unesco

La capacità di prevedere uno dei pericoli caratteristici dell'arco alpino potrebbe diventare un patrimonio immateriale dell'umanità

((Ti-Press))
18 gennaio 2018
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Studiare i fiocchi di neve con una lente d’ingrandimento per prevedere una delle più grandi minacce naturali delle Alpi: è uno dei modi con cui la Svizzera gestisce il rischio di valanghe. Una tradizione che potrebbe presto essere inserita nel patrimonio culturale Unesco. «Cosa succede alla neve fresca quando tocca terra?», chiede Gian Darms, esperto dell’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (Slf) di Davos. Immersi nella neve fino alle ginocchia, i suoi allievi si scambiano sguardi attoniti, mentre in lontananza si ode il ronzio delle seggiovie. «Le braccia dei cristalli si rompono», risponde dopo un po’ un occhialuto partecipante. «Molto bene», dice Darms.
Il gruppo di uomini in tuta da sci si trova appena sotto alla cima del Weissfluhjoch, che culmina a 2’692 metri, sopra a Davos, nei Grigioni. Tra domande sulla neve e le condizioni meteorologiche, misurano e annotano la temperatura dell’aria, lo spessore dello strato di neve fresca e altre informazioni chiave, come mostra questo servizio della televisione svizzera pubblica Srf. Gli otto studenti che partecipano al corso di aggiornamento – composto di addetti agli impianti di risalita, impiegati comunali e cittadini interessati – fanno parte della consolidata rete di osservazione delle valanghe dell’Slf. Da quando è subentrato all’esercito nel 1945, l’istituto grigionese è responsabile della pubblicazione, due volte al giorno, del bollettino nazionale delle valanghe. Il servizio si basa sui dati raccolti da 200 persone appositamente formate e dalle 170 stazioni automatiche di misurazione sparse sulle Alpi svizzere. Dopo aver raccolto vari dati con metodi tradizionali risalenti a 70 anni fa, i partecipanti al corso estraggono dagli zaini delle pale da neve. In meno di un minuto scavano in profondità e realizzano una sezione trasversale del manto nevoso, al fine di studiarne il profilo. Inginocchiati, infilano le dita nella neve alla ricerca di strati deboli, i quali potrebbero rappresentare un rischio di valanga. «Riuscite a vedere i cristalli arrotondati? Corrispondono a ciò che osservate nel manto nevoso di oggi?», chiede Darms. Protesi in avanti, i partecipanti osservano i cristalli nei diversi strati con una lente di ingrandimento. Tramandare il know-how "La gestione del pericolo di valanghe" è al centro della candidatura presentata lo scorso anno da Svizzera e Austria per l’inserimento nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale presso l’Unesco. La decisione dovrebbe cadere presumibilmente in novembre. «L’esperienza pratica acquisita, particolarmente estesa e scientificamente provata, viene tramandata da secoli e costantemente sviluppata combinando conoscenze ancestrali e tecniche modernissime», scrive l’Ufficio federale della cultura (Ufc). Risalente alla Seconda guerra mondiale, il servizio di allerta valanghe dell’Slf è un esempio evidente di questo trasferimento delle conoscenze. «Mio padre è stato un osservatore per 35 anni. Io ho iniziato sette anni fa. Mi piace la precisione del lavoro, ciò che è tipico della nostra mentalità svizzera», racconta Reto Wicki, un agricoltore di Sorenberg, un villaggio circondato da vette di 2’000 metri a sud-ovest di Lucerna. Nel corso degli anni ci sono stati osservatori di ogni ceto sociale, dai monaci alle casalinghe, sebbene ora siano sempre di più gli addetti di comprensori sciistici e di comuni di montagna.

Osservatori attivi sei mesi l'anno - La rete più fitta d'Europa

Attivi dal 1° novembre al 30 aprile, gli osservatori si alzano generalmente verso le 6 del mattino per verificare la presenza di neve fresca e raccogliere altri dati. Questi vengono poi inviati tramite un computer all’Slf e utilizzati per le previsioni quotidiane e i modelli numerici. Ogni due settimane realizzano dei profili della neve per vedere come cambia il manto nevoso durante l’inverno e per individuare gli strati deboli. Gli osservatori sono rimunerati in base alla quantità di informazioni fornite, in media 3mila franchi per cinque mesi di lavoro. «Reti di osservatori esistono anche in altri paesi, ma la densità della nostra rete e il livello di formazione e di competenza è unico», afferma Darms. Riconosce però che le osservazioni umane possono essere imperfette e rappresentare un problema. Inoltre, trovare dei sostituti e fare misurazioni nelle zone remote non è sempre facile. Perché allora non rimpiazzare gli esseri umani con stazioni di misurazione automatizzate? «Gli esseri umani non solo osservano, ma interpretano anche i dati. Ad esempio, un osservatore può constatare se sono apparse delle crepe nella neve. A una certa altitudine ci potrebbe essere un problema di scivolamento della neve. Ciò ci consente di anticipare un rischio. La dimensione locale della valutazione del pericolo di valanghe permette di sintetizzare l’informazione, una cosa che una macchina non può fare», spiega Darms. Ricerca basata sulla pratica Il sistema di allerta è soltanto una parte del lavoro di gestione delle valanghe svolto dall’istituto svizzero. Dalle sue origini nel 1936, quando un piccolo gruppo di ricercatori costruì il primo laboratorio nivologico sul Weissfluhjoch, l’Slf è diventato un istituto rinomato di ricerca e previsioni che riunisce sotto lo stesso tetto quasi 150 collaboratori. «L’istituto è stato fondato per rispondere a bisogni concreti. Le aziende idroelettriche, le ferrovie e il turismo volevano davvero essere al sicuro durante l’inverno», spiega Jürg Schweizer, responsabile dell’Slf. «Inizialmente, la ferrovia del Bernina e quella retica avevano una licenza soltanto per l’estate. Non erano in grado di gestire il rischio di valanghe. Nei primi anni del XX secolo spingevano per il turismo e volevano mantenere le linee aperte. Sono queste richieste pratiche ad aver favorito la ricerca in quest’ambito». Oggi, l’istituto vanta una miriade di progetti scientifici di classe mondiale, dalla modellizzazione in 3D delle valanghe alla neve da laboratorio e all’utilizzo di droni per cartografare lo spessore del manto nevoso. Periodicamente, i ricercatori testano le loro teorie e raccolgono nuovi dati provocando il distacco di un’enorme valanga sul loro sito sperimentale nella valle della Sionne, in Vallese. Una lunga storia scritta Come scrive l’Ufc, «la situazione di minaccia collettiva costituita dalle valanghe ha portato in Svizzera e in Austria a forme comuni e fortemente identitarie di gestione del pericolo naturale». Gli esperti dell’Slf sottolineano che l’esperienza acquisita sulle Alpi svizzere non è molto diversa da quella in Austria e Francia. A rendere unico l’approccio elvetico nella gestione dei rischi di valanghe è però la sua lunga storia, in gran parte scritta, e il suo livello di sofisticatezza.

Sono svizzeri i testi di riferimento per i nivologi di tutto l'arco alpino

Libri quali "Die Lawinen der Schweizer Alpen" (Le valanghe delle Alpi svizzere, 1888) e "Statistik und Verbau der Lawinen in den Schweizeralpen" (Statistiche e misure di prevenzione delle valanghe sulle Alpi svizzere, 1910) scritti dall’ispettore federale delle foreste Johann Coaz sono considerati ancora oggi dei documenti di riferimento, in particolare per l’elaborazione di mappe di pericolosità. «Non conosco documenti simili in Austria», dice Jürg Schweizer, per il quale la conoscenza della Svizzera in materia di gestione delle valanghe è «più strutturata e sviluppata» di quella del suo vicino, in parte a causa di strutture di governanza diverse. «Nel XIX secolo, l’Austria era un impero. Non so quanto ci si prendesse cura dei villaggi. In Svizzera c’è sempre stato un forte sentimento di autorganizzazione siccome i villaggi erano più o meno indipendenti», osserva. Detto questo, l’esperienza e le competenze in materia di valanghe sono anche il frutto di catastrofi e incidenti. Le valanghe dell’inverno del 1951, che causarono quasi cento vittime, segnarono l’inizio delle misure organizzate di protezione, rammenta l’esperto in materia e ingegnere civile Stefan Margreth. «È stato a quel momento che sono davvero decollati i bollettini delle valanghe, la cartografia dei rischi e i progetti di mitigazione». La prima mappa del rischio di valanghe è stata elaborata in Svizzera nel 1954. Sulle Alpi svizzere, al di sopra delle foreste protettive, sono spuntate strutture di protezioneLink esterno quali ripari valangari e reti metalliche. Oggi si estendono per oltre mille chilometri e proteggono luoghi chiave quali il villaggio di Davos. Eppure, malgrado questi progressi e un crescente bagaglio di conoscenze, gli esperti ammettono che le valanghe sono estremamente imprevedibili e che molti interrogativi scientifici – come il modo in cui si sviluppa una crepa nel manto nevoso – rimangono senza risposta. «Le valanghe sono molto complesse. Oggi non è possibile prevedere su quale pendio si staccherà una valanga domani. Nessuno lo sa», rammenta Stefan Margreth.