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I trenta di Carlo Conti, la prima di Brunori Sas

Nel Festival generoso con coloro che se le scrivono e se le cantano, il cantautore cosentino rompe l’incantesimo

Dario ‘Mimmo’ Brunori
(Facebook)
2 dicembre 2024
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“Se un dado fosse troppo forte, sai di cosa saprebbe il tuo minestrone? Di dado”. Rilanciamo una vecchia réclame italiana di fine anni Ottanta, quella del bimbo che si rallegrava con il papà del fatto che la mamma, evidentemente non la miglior cuoca in circolazione, avesse finalmente cucinato un pollo con i controdadi. ‘Ehi papà, guavda, un pollo!’, esclamava il bimbo con la ‘R’ moscia, che il politicamente corretto odierno ci imporrebbe di cambiare in “affetto da rotacismo”. Il dado tedesco ci serve per una metafora alimentare nella quale il brodo è il Festival di Sanremo (è vero, bisognerebbe fare il brodo come le bisnonne comandano, ma oggi andiamo tutti di fretta). Guardando ai trenta Big del Festival di Sanremo 2025 annunciati ieri dal direttore artistico Carlo Conti, il brodo pare quest’anno un poco più saporito per l’aggiunta di un ingrediente che il cuoco dell’anno scorso si dimenticò.

Dicesi ‘cantautore’, sincrasi di ‘cantante’ e ‘autore’, “un cantante di musica leggera che interpreta brani scritti e/o musicati da lui stesso”, figura che nel tempo ha prodotto esempi letterari altissimi (non risparmiandocene peraltro di noiosissimi). Esiste una scuola di pensiero per la quale ‘cantautore’ è colui che si è scritto una storia, da solo o insieme a pochi altri, ed è in grado di cantarsela accompagnandosi con uno strumento musicale qualsiasi (tranne quelli a fiato, perché suonare il clarinetto, per esempio, e allo stesso tempo cantare è al momento impossibile per chiunque). Fermi alle raffinate canottiere indie di Giovanni Truppi (Sanremo 2022) e ancora persi nel delirio anni Ottanta dell’Amadeus il cui ultimo, fortunatissimo Festival fu un “su le mani” dal “ritmo, ritmo, ritmo sincopato” (A. Sordi, ‘Carcerato’), dall’11 al 15 febbraio 2025 torneremo ad ascoltare una manciata di artigiani della canzone come Brunori Sas, che è quanto di meglio ci regala il cantautorato chitarra in spalla, ma anche seduto al piano.

Dario Brunori da Cosenza, col nome d’arte che è un omaggio alla ditta di mattoni dei suoi genitori, dichiarava un tempo: “Sanremo? Occorre arrivarci con le spalle larghe”. Nel maggio del 2017, nelle stanze della Rsi, ci confidava che sarebbe andato a Sanremo solo se gli avessero consentito di «condurre, cantare e dirigere l’orchestra, contemporaneamente». Autoironico nel raccontare sé stesso senza mettersi troppo di mezzo, spietato nel ritrarre il Belpaese, se il brano sanremese avrà la forza di ‘La verità’, ‘Per due che come noi’ o quella dei capitoli più forti dei suoi primi cinque album, Brunori Sas potrebbe rinverdire le epoche del cantautorato classico al potere.

Avevamo speso la metafora del dado Knorr qualche anno fa per Francesco Gabbani, venuto a insaporire il canzoniere italiano con una serie di grandi successi che da ‘Amen’ (vincitrice del Sanremo Giovani del 2016) arriva sino a ‘Buttalo via’, singolo scritto per Mina e da lei cantato nel di lei ‘Gassa d’amante’. Tra i cantautori già vincenti a Sanremo (e Gabbani, il Sanremo dei grandi, lo vinse nel 2017 con ‘Occidentali’s Karma’), la lista dei trenta di Carlo Conti include pure Simone Cristicchi (‘Ti regalerò una rosa’, era il 2007). Della scuderia di Brunori Sas, la Piccica Dischi, fa parte anche Lucio Corsi, che in bilico tra rock e surrealismo è transitato di recente per Lugano ed è outsider sanremese per costituzione.

Vox populi (donne)

Non avremo i titoli delle canzoni almeno sino al 18 dicembre, quando si concluderà Sanremo Giovani, contest televisivo che porterà altri quattro nomi sul palco dell’Ariston. Non sapremo ancora cosa canterà Giorgia, il cui nome vale il prezzo del biglietto che si tratti di Festival, palazzetti dello sport o sale cinematografiche (è Olga in ‘Scordato’ di Rocco Papaleo ed è bravissima). Il suo medley di un anno fa, quando fu ospite, è tra i momenti d’oro della manifestazione. Giorgia Todrani torna in gara dopo ‘Parole dette male’ (era il 2023) e c’è da scommetterci che nemmeno stavolta sarà una ballad (o magari sì?). L’abbiamo messa tra le grandi voci, anche se poteva pure finire nelle cantautrici, scrivendosi lei tante cose da sé. Lo stesso vale per Francesca Michielin, che l’ultima volta a Sanremo fu in duetto con Fedez (vedi al capitolo ‘Faide’).

Le voci femminili sono tutte belle, con autotune oppure no. Rose Villain (con autotune) torna a un anno da ‘Click Boom!’, Clara torna a un anno da ‘Diamanti grezzi’, Gaia torna quattro anni dopo ‘Cuore amaro’, Elodie torna da mattatrice (David di Donatello nel 2023 per ‘Proiettili’, miglior canzone, due anni dopo ‘Due’). Noemi è un classico quanto Marcella Bella, otto Sanremi la prima, dieci la seconda. Mettiamo il duo Coma_Cose tra le donne perché a cantare con Fausto c’è California (sono i due delle sanremesi ‘Fiamme negli occhi’ e ‘L’addio’). Torna Serena Brancale, ascoltata con Israel Varela qualche anno fa nell’Ascona del Jazz Cat Club. Dieci anni sono passati dalla bella ‘Galleggiare’, con un ‘Baccalà’ di mezzo (tormentone rap in barese che ultimamente ha pagato più del jazz). Outsider al femminile: da ‘Amici’, la vincitrice Sarah Toscano; dal Lago di Garda, Joan Thiele, l’altra metà del David di Elodie.

Vox populi (uomini)

Tra gli ometti c’è Massimo Ranieri, che tornerà quando saranno tre anni da ‘Lettera di là dal mare’, i viaggi della speranza cantati con la misura e un’imprevista, tenera emozione da kermesse. Ometti sono pure Kekko dei Modà, che in luglio ha annunciato un addio alle scene da celebrarsi, evidentemente, in febbraio, e i The Kolors, un anno dopo il tormentone ‘Un ragazzo una ragazza’. Torna il monotematico Irama, a un anno da ‘Tu no’. Torna Achille Lauro, chissà se rocchenroll e fuochi d’artificio (la trasgressione potrà essere solo il minimalismo). Torna il rapper torinese Willy Peyote, quattro anni dopo ‘Mai dire mai (La locura)’, torna Rkomi che nel 2022 cantò ‘Insuperabile’, torna Olly, che nel 2023 cantò ‘Polvere’ e ora è nella scuderia di Marta Donà, che già coccola Mengoni e Angelina (e Cattelan).

Faide

Tutti uomini quelli del terzetto di rapper a fare il feat. (da ‘featuring’, la collaborazione) al collega Shablo, che ha voluto con sé Guè, Joshua e Tormento, l’unione di rapper che fa la forza e che lo scorso anno, con Geolier & Friends, sbancò alla serata delle cover. Il rap rilancia l’estivo (ultimamente) Rocco Hunt, sanremogiovane nel 2014 (‘Nu juorno buono’) e sanremoadulto nel 2016 (‘Wake up’). Se si parla di rap, Emis Killa è sufficientemente Big. Vale anche per Fedez e Tony Effe, la cui faida ha riempito palinsesti, social, chat di WhatsApp e rotocalchi, cui rimandiamo con tanti auguri di buon divertimento, ricordando che anche Claudio Villa ha fatto del dissing, a volte molto pesante. Tra i nomi del momento c’è pure il rapper Bresh, che non ci risulta ce l’abbia con qualcuno in particolare.

È a suo modo una faida anche quella tra i Jalisse e il Festival. La storia è nota: nessuno li ha più chiamati da ‘Fiumi di parole’ in poi; di mezzo, un presunto boicottaggio Rai durante il loro Eurovision. L’ospitata dello scorso anno pareva aver chiuso il contenzioso e invece Fabio e Alessandra festeggiano (con molta autoironia, va detto) la loro 28esima esclusione. In tutta onestà, e senza alcun pregiudizio, se la canzone esclusa era come quella presentata a ‘Una voce per San Marino’, beh allora libiamo, libiamo ne’ lieti calici che la bellezza, parola grossa, infiora.