Magari non vincerà il Festival, ma la gara delle cover è di Morandi, con Jovanotti. Classifica generale: Mahmood-Blanco primi, Elisa 2ª, Morandi 3°.
Al primo posto Gianni Morandi e Jovanotti con un medley diviso due, poi Mahmood e Blanco ne ‘Il cielo in una stanza’ di Paoli, terza Elisa versione ‘Flashdance’ in ‘What A Feeling’. Il plotone di votanti si è così espresso nella notte delle cover. Ariston in piedi al suono di ‘Occhi di ragazza’/‘Un mondo d’amore’/‘Ragazzo fortunato’/‘Penso positivo’, con l’orchestra affidata a Mousse T. La classifica generale è confermata: primi Mahmood e Blanco (‘Brividi’), seconda Elisa (‘O forse sei tu’), terzo Gianni Morandi (‘Apri tutte le porte’).
Quando a Sanremo arriva il venerdì, una volta liberate nelle radio e nella Rete che diffonde invece di pescare, le 25 canzoni del Festival cominciano a diventare socievoli come uno di famiglia. I vescovi si tacciono, i critici contagiano (il virus si è preso un paio di posti a sedere in Sala stampa), gli animi si placano, le pagelle si rilassano, “le nebbie si diradano” e le certezze dilagano: vince Mahmood, vince Elisa, vince Tananai (che adesso è ultimo) e altre voci di corridoio come “ha segnato Zoff di testa da calcio d’angolo”.
Risolto il problema del fabbricatore di pass falsi per le aree off-limits, scovato dalla Polizia e reso innocuo, Sanremo può celebrare la canzone italiana e (novità) internazionale, gli evergreen della musica collocabili tra i favolosi anni sessanta e gli (in certi casi) favolosi anni novanta, dal twist al grunge, dall’hully gully al metal, da Orietta Berti a Ozzy Osbourne. È di venerdì, nella notte delle cover o dei duetti, che anche i più strenui detrattori della ‘canzonetta’, capitati ‘per caso’ sul primo canale della televisione italiana ad ascoltare ‘più che altro per curiosità’, s’accorgono della ricchezza del suo canzoniere. Detto questo…
Aretha Noemi Franklin (Keystone)
Il viaggio tra le grandi canzoni e i relativi grandi autori inizia con ‘(You Make Me Feel Like) A Natural Woman’, per l’interpretazione della vera Noemi che tende ad Aretha Franklin restando, splendidamente, Noemi. Mancando Brunori Sas, che a Sanremo non ci verrà probabilmente mai (magari da ospite, come giovedì Cremonini), Giovanni Truppi in un’altra delle sue proverbiali canottiere è quest’anno rappresentante unico del cantautorato italiano, qui con Vinicio Capossela, uno dei suoi caposcuola, e Mauro Pagani garante: parte ‘Nella mia ora di libertà’ di Fabrizio De André e il Festival di Sanremo si trasferisce al Premio Tenco, cugino snob del Festival, nel medesimo teatro in cui entrambe le manifestazioni si tengono.
‘My Way’ cantata dal giovane Yuman si fa notare più per la presenza di Rita Marcotulli, gigantessa del jazz, e ‘Live And Let Die’ degli Wings di McCartney più per l’ovazione che accoglie il Maestro Vessicchio, negativizzato e al pianoforte, con Le Vibrazioni e Sophie and The Giants un passo indietro a Peppe e a Paul. Bravo Sangiovanni, brava Fiorella Mannoia a prendersi entrambi cura di quel manifesto della coerenza chiamato ‘A muso duro’ di Pierangelo Bertoli, che l’orchestra ridisegna il giusto per essere bellissimo. “Canzoni di questa grandezza annullano qualsiasi barriera, qualsiasi differenza anagrafica”, dice Fiorella.
Sangiovanni e Fiorella Mannoia (Keystone)
Congedato l’imbarazzante tentativo di Emma e Francesca Michielin su ‘…Baby One Time’, vestiti da Mr. Torrence e Mr. Grady di ‘Shining’, Gianni Morandi e Jovanotti scrivono un po’ di storia della tv: il medley è roba da fuori concorso, e la loro è anche la vittoria di Amadeus. Poco dopo Elisa, in ‘What A Feeling’ da ‘Flashdance’, con Elena D’Amario in parte della coreografia originale, riesce là dove Emma e Michielin falliscono (con tanti saluti da Giorgio Moroder in videomessaggio da casa, con Oscar e Grammy alle spalle). A seguire, Achille Lauro e Loredana Berté, in ‘Sei bellissima’, sono quasi bellissimi.
Matteo Romano con Malika Ayane, ‘Your Song’, accarezzano Elton John (lode all’arrangiamento del maestro Valeriano Chiaravalle); Gianluca Grignani abbandona Irama sul palco e va a cantarsi ‘La mia storia tra le dita’ da solo tra il pubblico, in un duetto che trasuda di mai provato, e a rimetterci è soltanto quello in gara. A orari ancora umani, la tradizione melodica italiana si prende il palco con ‘Canzone’, Iva Zanicchi in duetto con Milva grazie al digitale, in una versione rock-blues del brano di Don Backi e Detto Mariano che tanto sarebbe piaciuta a Gary Moore: rispetto.
Sorvolando qua e là si arriva ad ‘Anna verrà’, in un arrangiamento che gioca d’attesa tutto il tempo per riprendere l’incedere originale della versione di Pino Daniele, il suo autore, solo verso la fine: Massimo Ranieri torna Massimo Ranieri, Nek limpidamente a volte lo sostiene e il pubblico si alza. Con esso, idealmente, si alza tutta Napoli.
Massimo Ranieri e Nek (Keystone)
C’è chi recupera monoliti come ‘La bambola’, e cioè Dargen D’Amico, che consegna "i fiori all’orchestra che ha fatto i miracoli con me”, e il miracolo è riuscito. E chi come Highsnob e Hu cantano Tenco e in ‘Mi sono innamorato di te’, nella splendida orchestrazione di Enrico Melozzi, non possono fare peggio di Achille Lauro al Tenco (Premio) quando l’uomo della ‘Domenica’ affossò ‘Lontano lontano’. Rkomi omaggia Vasco nella seminudità, Michele Bravi omaggia Battisti con tanto cuore in ‘Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi’. Il monolite Battisti cade sopra Giusy Ferreri in ‘Io vivrò senza te’ con Andy dei Bluvertigo e anche su Mahmood e Blanco (‘Il cielo in una stanza’), ma la fan base ha apprezzato ed è quello che conta per arrivare a sabato. Altro non è successo, se non che Fabrizio Moro ha maltrattato ‘Uomini soli’ dei Pooh. E poi c’era Tananai.
Quel poco di non musicale accaduto, forzatamente ridotto, ha visto la co-conduttrice Maria Chiara Giannetta in un gradevole sketch con Maurizio Lastrico dapprima, poi accanto ai cinque ‘guardiani’ che le hanno fatto da coach nell’entrare nel personaggio della non vedente Blanca.