Le sedie della piazza erano più comode del solito, e pare che nessuno abbia mangiato male. Solo chi dormiva nel Bellinzonese è stato punto dalle zanzare
Conosco uno scrittore che adora i giochi di ruolo, invita gli amici a casa e dopo cena si presenta al tavolo con in mano una scatola dal nome elfico. Le regole, complicate come una lista di effetti collaterali, comportano sempre che i singoli partecipanti assumano un ruolo specifico. Fino in fondo e con coerenza. Non è contemplato, per esempio, che chi impersona il comandante della polizia riconosca che i manifestanti erano mille, deve dire qualche centinaio; il portavoce dei dimostranti, allo stesso modo, sosterrà che le vie erano traboccanti di disobbedienti civili. È esattamente questa la sensazione che si prova quando si leggono le dichiarazioni finali di questa edizione del Festival del film di Locarno. I numeri sono positivi, tutti in crescita, sono aumentati gli spettatori, le tessere degli abbonati, gli accrediti stampa e quelli dei professionisti del cinema. La qualità dei film è stata eccezionale, irripetibile, tanto che Locarno si è dimostrata ammiraglia di quella forza trainante che è il cinema, veicolo di creatività e speranza per un futuro migliore. Persino le sedie della piazza quest’anno erano più comode del solito, e pare che nessuno abbia mangiato male. Solo chi dormiva nel Bellinzonese è stato punto dalle zanzare.
La retorica positiva forse è necessaria, ma certo non può non ricordare Berlusconi quando, in piena crisi economica, disse che lui vedeva solo ristoranti pieni. Viene una gran voglia di dire il contrario, come per esempio che i film del concorso hanno generato un aumento del cinque per cento di riposini pomeridiani, quelli della piazza un dieci per cento di sottoscrizioni a Disney Channel, mentre si è assistito a una crescita del duecento per cento di premiati che passano da Locarno, ritirano un pardo, quindi aspettano Venezia per presentare il proprio ultimo lavoro cinematografico. La cosa certa è che, nonostante la polemicuccia di inizio agosto, le date della prossima edizione resteranno le solite. Come a dire che, se i risultati sono quelli elencati da presidente e direttori, forse sono Cannes e Venezia che devono pensare di cambiare le date, non certo gli X-men del leopardo sul Verbano. Al di là delle cieche immedesimazioni nei propri ruoli, mi pare necessario congedare questa edizione delle doppie sette con un auspicio, dolce e gentile, in pieno stile vogliamoci bene. Locarno è un patrimonio per chi abita queste lande illuminate, l’industria del cinema è potente, complessa, dunque si può comprendere che non solo il meglio approdi nelle sale del nostro Festival. Ma c’è una cosa che non si vende, non si compra, eppure un poco latita: il coraggio. Il coraggio di credere nel festival stesso, per esempio proiettando in prima serata un film della personalità premiata, o quelli che hanno vinto le diverse sezioni dei concorsi o ancora pellicole che urtano, generano dibattito, escono dall’aggettivo che sembra essere diventato la seconda pelle della nostra fiera maculata addomesticata: bellino.