Il film-maker sudcoreano ha portato a Locarno ‘Suyoocheon’ (By The Stream)
Esistono varie definizioni che distinguono nel mondo del cinema il regista dal film-maker, la più semplice è quella che il regista, dopo il produttore, guida un complesso di persone, dalla sceneggiatura, alla fotografia, alla direzione degli attori, alle musiche, ai suoni al montaggio… mentre il film-maker fa tutto da solo. Charlie Chaplin non lo era solo perché non si metteva dietro la macchina da presa, lavoro che lasciava al leggendario Roland Totheroh; lo è invece il maestro Hong Sang-soo perché anche qui, in competizione a Locarno, con ‘Suyoocheon’ (By The Stream), risulta autore di tutto, dalla regia alle musiche, dalla fotografia al montaggio, dal suono alla sceneggiatura alla produzione.
Un vero film-maker. Di più, così indipendente che, come accadeva a Eduardo de Filippo, non scrive una sceneggiatura prima di cominciare le riprese, ma consegna ad attrici e attori una pagina ogni giorno, perché si riserba di cambiare idea sullo scritto. Se più si pensa che in questo film attori e attrici recitano scene dove si beve molto – e lo fanno davvero, “e con buone bottiglie” ha ricordato un’attrice –, si comprende come Hong Sang-soo concepisca un’idea di cinema libero da ogni idea fuorviante di industria cinematografica, per librarsi in un cielo pieno di nuvole da cavalcare. Ed è gioia dello spettatore seguirlo nel suo vagare e far vagare, di cui il film infine è solo un diario in immagini in movimento.
Ed è così che conosciamo Jeonim, una docente universitaria che ha organizzato per un suo zio, attore e regista un tempo affermato e ora in pensione, una rappresentazione teatrale nel suo dipartimento. Dovrà lavorare con quattro studentesse e avrà dieci giorni di tempo per realizzare uno spettacolo. L’uomo ha accettato perché il suo esordio teatrale fu proprio in quella università. Jeonim comincia ogni giorno sulle rive di un fiume a disegnarne la corrente e i flutti. Tra la sua capodipartimento e lo zio nasce del tenero, subito alla prima cena insieme con anguilla e abbondante libagione. Jeonim dimostra tutta la sua freddezza maltrattando uno studente che torna all’università per salutarla. È una zitella agra, mentre lo zio è un godurioso senza freno come la sua capa, con milioni di risparmi e solitudine annegata nell’alcool. Fa ricordare Fabrizio De André e la sua ‘La collina’ “sembra di sentirlo ancora / dire al mercante di liquore/tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?". Ed è proprio lo zio a far da motore prima giocando con le studentesse, su un tavolo strapieno di bottiglie vuote, a raccontare in poesia il loro futuro, scoprendo l’assenza dolorosa di ogni speranza; a parte una che spiega di volere vivere almeno un giorno d’amore vero, pieno, sincero. Poi l’uomo spiega a Jeonim, arrabbiandosi, perché non ha più parlato con sua madre: “Mi ha dato del comunista”. E quale affronto più terribile può esserci nella Corea del Sud? Film che regala spunti vita, gioia e malinconia. Cinema vero da film-maker vero.