È il sound designer della fantascienza, la voce di alieni e varie creature, più altri benevoli shock sonori per Lucas, Spielberg e molti altri
Quindi posso dire agli amici che ho parlato con Darth Vader? «Limitatamente al respiro affannoso, sì». Il pensiero malato sarebbe estorcergliene uno di respiro, per farci la segreteria telefonica: “Ti stavo aspettando, non posso rispondere…”, e il respiro, originale. Poi la dignità personale prende il sopravvento.
Sguardo rassicurante da capoprogetto della Nasa, eleganza newyorkese che fa il pari con le stelle dell’albergo in cui alloggia, Ben Burtt è il sound designer (e regista, montatore, voice actor, scrittore) che ha cambiato i connotati a una cospicua parte del sonoro nel cinema. In ‘Guerre stellari’ per esempio, il respiro di cui sopra (catturato attraverso un regolatore da immersione per sub) ma anche il ronzio della spada laser, spari e sparatorie, oggetti volanti e strani linguaggi (l’ewokese). Burtt, creatore della voce di R2-D2 ma anche voce di Wall-E e molto altro, è a Locarno per ritirare il Vision Award dei visionari, e noi siamo qui per chiedergli conto di quattro Oscar – i due ‘Special Achievement’ per ‘Guerre stellari’ e per l’Indiana Jones de ‘I predatori dell’arca perduta’, l’Oscar al miglior montaggio sonoro per ‘E.T.’ e quello per ‘Indiana Jones e l’ultima crociata‘ – e della sua rivoluzione, condotta pacificamente un passo indietro.
«Animale intrigante questo Pardo, lo vedo già in casa, andare a caccia di Oscar». In verità, almeno all’inizio, ai premi Burtt non aveva mai pensato: «Oggi ne vado orgoglioso. Per qualcuno come me che lavora dietro le quinte, vincere un award non garantisce mai che dopo avere vinto ti daranno subito da lavorare, sebbene questo sia un mondo governato dai premi, che creano opportunità. È che a differenza delle celebrità – ci dice – un ruolo come il mio è molto in basso nella scala degli status. Ma va bene così, è l’ordine naturale nel quale i film sono prodotti. È stato un grande onore ricevere un Oscar e così il Pardo e altre targhe e certificazioni, fermo restando che la migliore ricompensa per me è sempre stata l’essere a disposizione del filmmaking e dividere il mio lavoro con un pubblico. Non si fanno film per essere messi in un cassetto, o per vederseli da soli e dire “oh come sono stato bravo”. Da piccolo giravo piccoli corti e poi li proiettavo in salotto per i miei genitori. Poi il mio pubblico è cresciuto, diciamo così…».
Ho un’immagine di lei: John Travolta in ‘Blow Out’, microfono in mano e registratore in spalla, a caccia di suoni. Vi si ritrova?
Sì, il personaggio creato da Brian De Palma è molto fedele a quello che il lavoro era all’epoca. Portavi sempre con te un registratore, e io ne avevo uno svizzero, il Nagra. E sì, andavi a caccia. Io lavoravo ai suoni di film fantasy come in effetti ‘Guerre stellari’ è, o a giganteschi cartoni animati come potremmo definire ‘Indiana Jones’ con l’intento di costruire paesaggi sonori fatti da suoni naturali, un’esperienza che già mi veniva dai documentari. In questo amore per l’esplorazione alcuni esplorano la telecamera: io esploravo il microfono, ero uno di quei tizi con grossi e pelosi microfoni in mano, grandi come dei Muppet.
E per quel che concerne il fantasy, la fantascienza, con lei il suono cambia da ‘sintetico’ a naturale. Sta qui il pionierismo?
Lavorando al primo ‘Guerre stellari’, la tradizione avrebbe voluto che il suono fosse elettronico, e premetto che nel suono elettronico non vi è nulla di sbagliato. La tradizione era quella aperta da film splendidi come ‘Il pianeta proibito’, ma George Lucas mi chiese che il suo mondo fosse più naturale, di estrarre i suoni da quel che avevamo intorno, dunque condizionatori, treni, aeroplani, automobili e ogni altra sorta di oggetto da manipolare nel proprio suono distintivo, da fondere insieme ad altri suoni così che all’ascoltatore il risultato suonasse familiare ma senza permettergli di dire cosa fosse di preciso. Dovevamo far nascere in lui l’illusione che quei suoni fossero reali, mantenendo il dubbio che non lo fossero.
Il cacciatore di suoni vive sempre in lei?
Sì, continuo a muovermi con un registratore in tasca. Al piano di sopra ne ho uno piccolo, non me ne separo mai perché potrei sempre trovare qualcosa d’interessante. Negli anni ho imparato la lezione: se sento qualcosa che solletica la mia attenzione è meglio che lo registri, un giorno potrebbe tornarmi utile.
Un suono in gioventù mi ha terrorizzato più altri. È l’urlo di Donald Sutherland alla fine di ‘Terrore dallo spazio profondo’ (Invasion of the body snatchers): è opera sua?
Sì, è opera mia. Subito dopo ‘Guerre stellari’ ebbi l’opportunità di fare qualcosa di veramente speciale per Philip Kaufman, che insieme a George Lucas aveva scritto il soggetto di quel che sarebbe poi diventato ‘I predatori dell’arca perduta’. Realizzai diversi suoni per quel film. Credo che questa informazione che le do sia inedita: quell’urlo veniva prevalentemente da maiali urlanti (ride, ndr). Urla naturalmente manipolate: registrai il verso dell’animale e lo resi più imponente aggiungendovi una copia di esso riprodotta in reverse (‘suonando’ il nastro all’incontrario, ndr). Quel che accade in un processo di questo tipo è che l’urlo, invece di disperdersi, viene sostenuto e si conclude forte come all’inizio. L’avanti e l’indietro della registrazione in simultanea è una soluzione che avevo imparato analizzando il famoso urlo di Tarzan, nei film con Johnny Weissmuller.
Quei suoni, registrati interamente in analogico, come e dove venivano archiviati in quegli anni?
Era un’enorme quantità di nastro magnetico, che ho sempre conservato. La collezione originaria, alla quale hanno contribuito gli altri componenti del mio piccolo team, incaricati di volta in volta di andare a registrare suoni, è di proprietà alla Lucasfilm. Al tempo era un grande muro, custodito proprio alla maniera delle banche. Negli anni è stato trasferito in digitale e ora esiste anche in forma di gigantesco server, con altri venticinque anni almeno di suoni aggiunti. La Skywalker Sound Library, che contiene i suoni di ‘Guerre stellari’, ‘Indiana Jones’ e buona parte dei suoni Pixar, Marvel, è un collezione spaventosa, da forse mezzo milione di suoni.
La voce di E.T. ha una storia particolare. Immagino che le sia stato chiesto più volte di raccontarla. Spero non le dispiaccia farlo ancora per noi…
Cercavo persone con voci non comuni che potessero essere associate a voci aliene. Avevo avuto successo con ‘Guerre stellari’ usando voci di donne anziane con toni baritonali o uomini dai toni alti, voci per le quali l’ascoltatore restava nel dubbio sull’età e sul gender della persona. Volevamo che E.T. non fosse identificabile né con un adulto e tantomeno con un bambino. Un giorno, entrando in un camera store (negozio di materiale audiovisivo, ndr), udii dalle parti della cassa una voce molto profonda, quella di una persona che parlava, molto lentamente, della sua carta di credito: “Oooh, my creeedit caaard…”. Pensai: “Che voce interessante...”. Era una donna sulla sessantina: la aspettai sul marciapiede, mi disse che aveva fumato tutta la vita, io le chiesi se avrebbe gradito essere un alieno in un film; lei disse “weeelll, weeelll, oookeeey”, e a ogni sua parola pensavo “mio Dio, è perfetta...”. Due giorni dopo venne negli studi e la testammo con le parole di E.T. – “phone home”, “Elliot” e il resto del vocabolario. E.T., va detto, ha avuto diverse voci, alcune delle quali erano animali; il respiro, quando si ammala, è quello di mia moglie con l’influenza, di notte le misi un microfono sopra la testa e non la prese benissimo (ride, ndr)..
Lei ha sempre avuto parole di stima per Lucas e Spielberg…
Sì, per il loro essere interessati a comunicare le proprie idee sul suono. Ho avuto da entrambi estrema libertà, soprattutto in film come ‘Indiana Jones e l’ultima crociata’, che Locarno ha scelto di proiettare. Entrambi, dopo avermi dato istruzioni generali, hanno creduto in me e nel mio team. Si presentavano verso la fine del lavoro a dare pareri, ogni difficoltà veniva discussa e testata con mix temporanei del film, aggiornati di volta in volta, per settimane. Questo processo oggi non è più lo stesso.
E il Burtt laureato in fisica come si integra con Hollywood?
Scienziato è ciò che inizialmente avrei voluto essere, anche perché provengo da padre e nonno scienziati. E infatti al college ho preso il mio degree in Fisica. Ho sempre applicato al mio lavoro nel sonoro un metodo a suo modo scientifico: la fisica insegna come risolvere un problema – hai una teoria, ti poni domande, poi sperimenti. In ‘Guerre stellari’ ho avuto il mio primo approccio con la realizzazione dei suoni per veicoli, macchinari, armi; ho analizzato questi meccanismi scientificamente, mi sono chiesto come dovessero suonare per il modo in cui operavano, arrivando fino al punto in cui la scienza non era più interessante, e la lasciavo da parte per metterci il cuore.
Accanto alla creazione pura c’è anche un suo storico ‘riciclo’ denominato Wilhelm scream’. Ce lo racconta?
È stato un mezzo scherzo. Da bambino ero solito registrare i film dalla tv e avevo tanta familiarità con tutti gli effetti sonori di Hollywood. Sapevo identificare quale studio avesse prodotto il film solo dal suono, come un birdwatcher (osservatore di uccelli, ndr). C’era questo grido nei film della Warner Bros, che continuavo a sentire; lo chiamai ‘Wilhelm’ dal nome di uno dei personaggi del western ‘Tamburi lontani’, che urlava in quel modo quando veniva colpito. Misi quel grido in uno dei miei film scolastici, girati insieme all’amico Richard Anderson. Quando entrambi siamo diventati sound editor a Hollywood li abbiamo inseriti in ognuno dei film che ci sono stati affidati, per divertimento. Chiamavo Richard e gli dicevo: “L’ho appena usato in ‘Indiana Jones e il Tempio maledetto’, l’hai sentito?”. E lui: “E io l’ho appena messo in ‘Poltergeist’!” (ride, ndr). Lo abbiamo messo ovunque tranne che nei documentari, in cui sarebbe suonato decisamente inappropriato. Una volta arrivati i dvd e internet, che hanno dato ai fan la possibilità di vedere e rivedere le scene, qualcuno che aveva avuto da me questa informazione l’ha resa pubblica e quel suono si è propagato ovunque. Si usa ancora, dai film alla pubblicità. Ogni sound editor lo fa almeno una volta, come un battesimo.
Per finire: quanto, dal punto di vista creativo, il suo lavoro è avvicinabile al concetto di musica?
Considero l’effetto sonoro una forma di musica non per il far sì che qualcosa suoni in modo realistico quanto come contributo alla creazione di un’emozione. Il sound editor può scegliere un vento pacifico e uno spaventoso, o un altro malefico, che esattamente come la musica può influire sul vissuto personale dello spettatore. I film migliori sono quelli in cui effetti sonori e musica funzionano come un’unica composizione perfettamente orchestrata. È il mio sogno, e si avvera solo di tanto in tanto.
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