Cosa c'entrano il mucchio, Simon Biles, i lanciatori del peso e Bruno Bréguet? Chiedilo a Pinello
Pinello è malinconico. Si aggira al crepuscolo per la Rotonda. Questa massa di corpi umidi, queste fauci che secernono salse variopinte azzannando luganighe, hamburger, kebab, pite greche ipercaloriche, questa fame atavica risvegliano in lui domande esistenziali: “Ma questa gente da quanto tempo non mangia?”. Purtroppo, aggiunge con un’occhiata al mucchio che si agita al ritmo inflitto dal Dj di turno, le Olimpiadi sono finite. Cerco nel vuoto un ponte tra Locarno e Parigi. Facendo capo alle sue riserve di pazienza, in una parola Pinello dà voce alla consolazione regalatagli dallo sport: “Il gesto”. La potenza dello sport sta nella totale compenetrazione, nel gesto, tra mente, corpo e, “perdonami la parola oscena, spirito”. E mi confida che, pur provando un fremito di piacere contemplando il corpo in movimento di Simon Biles, la sua fascinazione va ai lanciatori del peso. Sono sorpreso. Con un sorriso di sofferta condiscendenza, Pinello flette agilmente le ginocchia e mi illustra la primitiva bellezza che sta nella volontà primordiale di lanciare una pietra il più lontano possibile. Ma non sono tanto le solite panzane sulla perfezione formale, che non può sussistere, “Mai!”, piuttosto il fatto di diventare pienamente ciò che si fa: “Proprio ciò che sfugge agli autocertificati autori da festival”.
Mentre divento il nulla in cui vaga la mia mente, Pinello mette i puntini sulle i: “Nessuno ha l’obbligo di essere artista. Ma almeno il buon gusto di non ammorbare il prossimo con la pretesa di essere visti, letti o ascoltati quando non si ha una beata minchia da dire… O non si è in grado di dirla in modo decente”. Pinello mi scruta con sguardo severo, complice. Ma io ormai sono il mio vuoto. Oppure, mi soccorre, “quando non si hanno gli attributi per entrare fino in fondo in ciò che si dice”. Ok, forse ci sono. Mi professo altrettanto deluso e mi propongo di dedicarmi a dei corroboranti bagni al fiume. Cosa dico, disgraziato?! Questa, incalza Pinello, è complicità con la mediocrità, e ci nega di venire sorpresi dall’eccezione che conferma la regola. Come la splendida donna libanese di ‘Green Line’, che non indietreggia di fronte ai suoi interlocutori, ma li costringe a scendere al fondo della brutalità che li ha divisi, assumendosi il peso delle proprie idee, delle scuse che taluni chiedono o della morte che altri sarebbero pronti a riportare: “Responsabilità! Onestà! Verità!”, tuona Pinello. E mi sussurra che proprio questo manca al nostro film ticinese su Bruno Bréguet, ai suoi intervistati e al suo pubblico, che si spella le mani specchiandosi nei propri ideologismi stantii: “Vai, cantamela che io te la suono…”. Non sarà un po’ severo? Forse. Però lui è pronto ad ammettere che, a chiunque minacci i suoi valori pacifisti, è pronto come un falangista libanese a spappolare le ginocchia con una raffica di AK47. “Viva la rivoluzione pacifista!”. E crolla in una risata contagiosa.