laR+ L’intervista

Giona A. Nazzaro e lo strano caso del leopardo sulle acque

La reazione al poster di Locarno77 non è stata un'ovazione. Annie Leibovitz lo ha fatto ‘pro bono’, il Festival lo difende. Anche il direttore artistico

Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival
7 giugno 2024
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Scritto in tutta sincerità. Martedì scorso, quando il poster del Locarno Film Festival è stato svelato al mondo, abbiamo pensato che a un certo punto della giornata qualcuno, alla maniera di Banksy, avrebbe rivendicato la paternità dello scherzo. E il giorno dopo, per un titolo leggermente fuorviante della Rsi – “L’abbiamo fatto apposta”, intervista dalla quale ci permettiamo (citando, noi) di estrapolare virgolettati –, abbiamo pensato che lo scherzo lo avesse fatto il Festival, che il poster di Locarno77 fosse una ‘lucherinata’, una di quelle bufale prodotte da Enrico Lucherini, storico ufficio stampa italiano, che per lanciare i film s’inventava storie ‘ai confini della realtà’.

Quel “l’abbiamo fatto apposta” con cui è stata titolata l’intervista significava più o meno “quel poster lo abbiamo voluto così”. È quanto rivendicava alla radio Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival, e quanto rivendica anche Raphaël Brunschwig, managing director del Locarno Film Festival al quale il collega Davide Martinoni ha posto il quesito nato sull’onda delle pesanti critiche ricevute dal manifesto: quanto è stato pagato? La grande fotografa Annie Leibovitz, autrice dell’opera, l’ha realizzata “pro bono”. Con il direttore artistico, persona di rara ironia e autoironia, cultore tanto di film quanto di musica, torniamo a parlare del leopardo sulle acque e di tutti i suoi annessi e connessi.

Giona A. Nazzaro. Il destino ha voluto che il giorno dopo la presentazione del manifesto, questo giornale abbia seguito la presentazione della mostra aperta al m.a.x. museo di Chiasso dedicata ai maestri della grafica, gente che ha fatto la storia del manifesto pubblicitario, manufatto artistico che ha le sue regole. Con riferimento al poster, certi che le comuni origini partenopee le permetteranno di capire, ci consenta l’espressione “ccà nisciuno è fesso…”.

La citazione che accompagna il manifesto è stata scritta dalla nostra presidente, dovrebbe chiedere a lei. Io credo che il testo in quanto tale spieghi molto bene il senso dell’operazione, ma questo è solo il mio punto di vista e, data la mia posizione, potrebbe essere confuso agevolmente, o preso per intero, come una sorta di difesa d’ufficio, cosa che non è.

Leggo il testo, guardo l’immagine e mi chiedo: cosa c’è di “iconico”? È un leopardo sul Lago Maggiore. Non è come mettere un orso in Alexanderplatz o una palma sulla Croisette?

Il manifesto del Locarno Film Festival è sempre stato realizzato da persone che hanno lavorato con le suggestioni che offriva la storia della manifestazione e del luogo, quelle evocate dal giallo e dal nero del maculato, dal Lago Maggiore che è uno dei luoghi più amati e riconoscibili. L’idea per il manifesto era quella di sovrapporre in maniera anche molto visibile due elementi, un luogo e un simbolo, da far riverberare nell’immaginario delle persone. Forse anticiperò una domanda: la tecnologia applicata all’immagine non è stata utilizzata in maniera maldestra, da un incompetente o dallo stagista pagato pochissimo e che “si è vendicato”, come ho sentito dire da qualche parte. È stata una riflessione molto precisa: lasciare in evidenza sulla superficie dell’immagine i segni degli strumenti con i quali si è lavorato. Per dirla con la musica: non è che tutti i dischi debbano suonare come quelli degli Emerson Lake & Palmer, magari qualcosa può suonare anche come Alex Chilton…

Evitiamo allora di contestare l’idea all’artista, restiamo alla forma. A Chiasso è esposta l’arte del lettering, quella calligrafica, la costruzione certosina dei font, i caratteri di stampa sui quali Steve Jobs ci ha costruito un impero: chi ha scelto il carattere di stampa del poster?

Il font è stato pensato osservando quelli del passato, per un dialogo che includesse presente e futuro del Festival. È un’idea che può non piacere, ma nemmeno in questo caso, sebbene io ne sia un fan, è stato un ‘buona la prima’. Ci tengo a dire che una riflessione ci ha accompagnati passo per passo. Nel corso degli anni, in occasione di ognuna delle call finalizzate alla grafica, abbiamo visto quanto il Festival ispiri e come si presenti con identità completamente differenti a seconda delle persone che lo guardano. Il fatto che tale scelta abbia provocato questa appassionata reazione, a favore o contro, dimostra che siamo comunque riusciti a entrare in contatto con il nostro pubblico. Aggiungo che il Festival era atteso al varco: Locarno77 è il primo atto ufficiale del dopo-Solari, è l’anno uno della signora Hoffmann; il manifesto si è presentato anche involontariamente come una dichiarazione, è ovvio che gli strali se li sia attirati non solo lui, ma anche ciò che, secondo alcuni osservatori, il manifesto rappresenta, ovvero l’intenzione di illustrare come potrebbe essere un eventuale futuro. È questo un particolare che non dobbiamo negarci, perché sovente si critica quel che c’è sotto gli occhi quasi come un anticipo di critica di quel che sta per venire.

Tecnicamente parlando: Annie Leibovitz ha fornito l’immagine e uno studio di grafica ha applicato il logo ufficiale? O tutto arriva da lei?

L’artista ha lavorato l’immagine passo per passo, logo compreso. Come con i film, abbiamo avuto varie proposte e abbiamo scelto, orientandoci su questa.

“Ogni qualvolta i grandi artisti fanno qualcosa di diverso si ritrovano contro coloro che dicono che non sanno più innovarsi”, sue parole alla Rsi. È sempre il caso che gli artisti si rinnovino, o a un certo punto possono anche smettere di farlo? Perché c’è chi è lo stesso artista da sempre e a molti va bene così. Tanti anni fa chiesero agli AC/DC come mai avessero fatto otto album tutti uguali e il leader, Angus Young, rispose: “C’è un errore, gli album sono nove…”.

… e io sono uno di quelli che riescono a distinguere perfettamente tutti gli album degli AC/DC, e così quelli dei Napalm Death. Voglio precisare: la mia frase è stata detta in maniera un poco paradossale. È virtualmente impossibile non innovarsi. Anche se un autore scrive lo stesso libro affinché sia venduto negli aeroporti di tutto il mondo, anche nel rispettare quella formula, è necessario riflettere su come conservarla tale. Di conseguenza, paradossalmente, l’autore si innova. Il libro numero 10 di una serie X, per essere venduto negli aeroporti da Fiumicino a Heathrow a Malpensa, non può avere la medesima forma di dieci anni prima. La mia è stata una piccola provocazione. Ma è anche vero che siamo nell’era in cui tutti hanno un’opinione da esprimere, ed è giusto così, ci mancherebbe, e abbiamo tutti gli strumenti per comunicarla.

In quelle parole, il non volere accettare il nuovo dell’artista, temo sempre il “non ne avete capito la grandezza”. Per restare alla musica: quando arrivò l’indie, tutto quel che era melodico per qualcuno diventò onta, spazzatura…

Non è così. Non avere amato il poster è cosa assolutamente legittima. Non si tratta di “voi non avete capito”, e vale anche per i film che presentiamo al Festival. Certo, se presento un film convinto che sia bellissimo e qualcuno mi dice che è orrendo, è ovvio che ci rimanga male, ma so che può accadere, non sono così ingenuo da vivere nella prospettiva falsata in cui tutto quel che facciamo è sempre bello e benvenuto. Sono molto grato, quindi, a questo tipo di risposta, e lo dico in modo non formale e accondiscendente, perché quel che facciamo è parte di un tessuto reale e dunque le persone si sentono interpellate a interagire con quello che facciamo. Lei mi può chiedere: avrebbe preferito la reazione negativa che si è verificata o che il poster fosse piaciuto a tutti indiscriminatamente? Sì, avrei preferito che fosse piaciuto a tutti indiscriminatamente, non sono ipocrita da nascondere la cosa.

La reazione c’è, l’abbiamo vista, e ha anche portato ironia e creatività, lo dimostra tutto questo diluvio di meme sul leopardo e il lago. Se voglio vedere, come dicono gli americani, un ‘silver lining’, allora dico che una realtà che non sia percepita come parte del territorio, del tessuto della regione, del cantone, del posto in cui si svolge il Festival, non avrebbe prodotto questa reazione. Sarebbe stata una scrollata di spalle e via.

Partendo da altre sue parole – “Nell’era di internet l’opinione negativa è quella che piace di più” –, potete mettere in conto che per il cosiddetto “uomo della strada”, oltre che i professionisti della grafica, il poster sia graficamente brutto, per quanto si possa utilizzare l’aggettivo “brutto” in modo assoluto?

Inizio a risponderle dall’uomo della strada. Intanto, non ho mai capito chi sia l’uomo della strada, quello che si è laureato all’università della vita. Poi dico che sì, è probabile che abbiamo sbagliato la scelta, nel senso che non abbiamo la ricetta dell’infallibilità, benché io ogni sera, prima di addormentarmi, possa desiderare di averla e di essere bellissimo, sempre giovane e vivere almeno fino a 150 anni. Questo, in senso ironico, per dire che l’ipotesi che si possa sbagliare fa parte del nostro lavoro. Parlando di film: li scelgo sulla base delle conoscenze, delle mie reazioni, della mia storia, di un mio modo di approcciare il lavoro, e nel frattempo innalzo preghiere laiche al Dio degli Errori che scongiuri la possibilità di prendere una toppa. Il fatto che si possa fare un errore di valutazione e sbagliarsi nei ragionamenti che facciamo è probabilissimo. Vorrei non fosse così, ma certo, non posso escluderlo.

Visto che si è parlato di un’immagine che guarda al futuro, e visto che Annie Leibovitz è autrice di una copertina, a mio parere, più iconica del poster del Festival, quella di ‘Born in the U.S.A.’, le dico quale canzone di Bruce Springsteen mi chiama il poster del Locarno Film Festival. È su ‘Tunnel of Love’, l’album successivo. Dice “one step up and two steps back”, un passo avanti e due indietro…

A me invece ricorda ‘One Step Beyond’ (‘Un passo oltre’, Madness, 1979).

La dichiarazione

‘Attrarre le persone e far parlare del Festival’

Di seguito, il commento integrale di Raphaël Brunschwig, managing director del Locarno Film Festival, relativo al manifesto e ai costi:

Con il nuovo corso, per quanto riguarda il manifesto, abbiamo deciso di cambiare rispetto al passato. È un’opera che rappresenta al meglio la manifestazione e che ha un compito ben specifico: mettere Locarno sull’agenda, attrarre le persone e far parlare del Festival. E ci siamo riusciti. Quest’anno il manifesto ha suscitato subito un forte interesse da parte dei media e di un pubblico che solitamente non si avvicina al Festival. Inoltre, il lavoro di Annie Leibovitz, grazie al rapporto di amicizia che la lega alla nostra presidente, è stato realizzato pro bono, mentre per quanto riguarda il lavoro di produzione siamo riusciti a rimanere all’interno dei costi sostenuti abitualmente per la realizzazione del manifesto.


© Annie Leibovitz
Il poster della ‘discordia’

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