Espressioniste, di un desiderio di ascolto che supera l’ansia di protagonismo. Io, Marco Solari, scelgo di ricordarlo così.
Mentre si muove con isterica signorilità sul palco di quello che è stato il suo mondo per 23 anni, non riesco a non notare, a pochi centimetri dai soliti occhi azzurri da predicatore televisivo americano, le sue grandi orecchie. Due padiglioni davvero notevoli, che disegnano un’armonia del viso degna di una tela di Kirchner.
Gli aspetti positivi del festival si trovano, sarebbe peccato tacerli o darli per scontati, perché la settimana e mezza di ginnastica mentale locarnese rimane uno dei momenti privilegiati della vita culturale svizzera. L’immersione in una cinematografia alternativa e indipendente, spesso confrontata con urgenze narrative che poco hanno a che vedere con le cifre hollywoodiane, la varietà di volti e di lingue che si incrocia sugli schermi ma anche per le vie della città, sono e restano una sorta di assicurazione complementare che tiene lontane alcune malattie che attaccano i polmoni, gli occhi e più in generale la capacità di percepire l’altro da noi come qualcosa di arricchente e non ostile.
Marco Solari alla fine è scivolato, come già Napoleone nel Cinque maggio, nel materno abbraccio della Madonna del Sasso, ha affidato sé stesso e il Festival allo sguardo di miele della madre soprannaturale, e tuttavia rimane un campione della libertà nel senso liberale del termine. Difesa del diritto di espressione, di critica, tutela delle minoranze. È, la sua, una visione sempre meno popolare a destra, un’idea di cultura che, pur rischiando di sfociare nel buonismo da politicamente corretto, è dotata di due grandi orecchie espressioniste, di un desiderio di ascolto che supera l’ansia di protagonismo.
Come a dire che la destra, quando non è in crisi di identità, non vota castranti pareggi di bilancio, non favorisce una vita pubblica dimezzata dal punto di vista delle occasioni culturali stranianti. Non combatte il diritto a un’informazione posta al di fuori della bolla di quelli che la pensano come me.
Se poi il Festival del film valorizzasse questa ideale apertura con il coraggio di ricucire il legame tra la Piazza Grande e le varie sezioni del festival, con il coraggio di compiere scelte chiare e forti nei concorsi, di limitare il potere degli sponsor nella gestione dei premi, l’esperienza culturale complessiva potrebbe facilmente diventare ancora più sensata e potente.
Prima di scendere per l’ultima volta dal palco, Marco Solari ha regalato alla piazza e a Maja Hoffmann ‘Quarto potere’, un film che ha come protagonista un ricchissimo uomo di successo, la parabola fallimentare di un magnate che ci invita a riflettere sui limiti dei soldi e del potere. Ma a parte i moniti e le allusioni alla vecchia e alla nuova Madonna del Festival, io scelgo di ricordarlo così, per quelle due grandi orecchie capaci di captare con curiosità le infinite voci di chi sussurra la propria storia.