‘Stepne’ dell'ucraina Maryna Vroda è un film durissimo, ma ‘Patagonia’ dell'italiano Simone Bozzelli è addirittura spietato sull'insensatezza della vita
L’ultima settimana del Festival di Locarno, accompagnata dal sole, si è aperta ieri con due interessanti film in Concorso: ‘Stepne’ dell’ucraina Maryna Vroda e ‘Patagonia’ di Simone Bozzelli, entrambi al centro di due momenti curiosi per il Festival. Il primo film è stato protagonista, in sala conferenze, di un intervento ministeriale ucraino che ci ha riportato al tempo dei nostri inizi, quando nei festival i film sovietici erano accompagnati da personaggi della nomenclatura sovietica, e come quelli, anche gli ucraini hanno preteso che tutto si svolgesse nella loro lingua per meglio controllare domande e risposte, abbiamo avuto un brivido. Il secondo è stato proprio sfortunato, perché la proiezione stampa è stata interrotta per due volte per problemi tecnici. Può succedere, ma qualcuno ha lasciato la sala.
Maryna Vroda – Palma d'oro a Cannes nel 2011 per il suo cortometraggio ‘Cross Country’ (‘Kross’) ispirato dai ricordi personali della stessa regista delle lezioni di educazione fisica – ritorna ai ricordi in questo suo primo vero lungometraggio ‘Stepne’ (il precedente, ‘Penguin’ del 2015, durava 51 minuti), che ha lo spunto nella morte dei suoi nonni. E nel film, la memoria storica di un gruppo di anziani scelti appositamente dalla regista in chiave documentaria è uno dei momenti principali. Qui vediamo Anatoliy (un grandissimo Oleksandr Maksiakov, noto protagonista del teatro e del cinema tra Ucraina e Russia), un uomo di mezza età che si reca a casa della sua famiglia per prendersi cura della madre morente, che gli confida l'esistenza di un tesoro. La madre muore e al funerale, Anatoliy incontra suo fratello e tante altre persone della comunità di un piccolo villaggio sperso tra le colline e le campagne. Lui ripensa alle sue scelte di vita, come quella di partire per vivere in una grande città. Si trova poi costretto a fare delle scelte, lui e il fratello venderanno la fabbrica di famiglia e i terreni per una manciata di soldi a un imprenditore senza scrupoli che per prima cosa licenzia gli operai. Regaleranno quindi i vestiti della madre e svuoteranno la casa. Il fratello scavando in cerca del tesoro trova una pistola e con questa uccide il cane di casa, ultimo testimone del loro fallimento. Film durissimo che descrive un mondo al tramonto. Non c’è bisogno del rumore dei cannoni, tutto è già morto.
Non di minor impatto è ‘Patagonia’ di Simone Bozzelli, forse il miglior esordiente italiano dai tempi di Matteo Garrone, sicuramente possiamo dire davanti a questo film: è nato un regista coi fiocchi. Si tratta di un film dal calibrato linguaggio, dall’incredibile durezza del racconto, tutto sorretto da una fotografia di gran rilievo e da un gruppo di attori guidato con maestria dal regista.
©Claudia Sicuranza
‘Patagonia’ di Simone Bozzelli
‘Patagonia’ racconta la storia di Yuri (Andrea Fuorto), un giovane di vent'anni che vive insieme a un'anziana zia in un piccolo paesino abruzzese. La sua vita si intreccia con quella di Agostino (Augusto Mario Russi, un interessante esordiente), animatore, esperto nell'incantare i bambini alle feste di compleanno – dove ha vecchia sapienza: “Bisogna che i genitori siano contenti, i bambini si accontentano” – e girovago. Yuri lascia la sua famiglia per seguirlo ritrovandosi un dominatore che lo svezza alla depravazione, ma soprattutto al sogno folle. Lui lo porta a un raduno di colleghi circensi, mercanti, animatori; un luogo dove drogarsi non è l’ultimo dei mali. Yuri giunge a far da bambinaio al figlio di Agostino, a farsi pisciare in bocca da lui, giunge a costringerlo a bruciare il vecchio camper che è la loro casa.
È un film spietato non sull’amore, ma sull’amicizia, sul trovare un senso a una vita che un senso non ha. Esordio con i fiocchi, un regista da seguire.