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Premio cinema Ticino, la doppia emozione di Sonia Peng

‘il mio primo lavoro è stato proprio al festival, come decoratrice’ ci racconta la scenografa di Bellinzona

Sonia Peng
11 agosto 2021
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Ricevere il Premio cinema Ticino «è un’emozione doppia» ci racconta, prima della cerimonia in Piazza Grande di questa sera, la scenografa Sonia Peng. «Sono felicissima per il premio e perché lo ricevo qui: il mio primo lavoro è stato proprio al festival, come decoratrice». All’epoca stava ancora studiando all’Accademia di Brera, «poi nel 1992 ho fatto il mio primo film come scenografa e quindi non ho potuto fare il festival… e adesso ritorno». Ritorno con un premio alla carriera, facciamo notare, subito interrotti da una risata: «Mi fa un po’ tenerezza, perché mi sento ancora una pischellina, i premi alla carriera di solito li danno ai vecchi del cinema!».

C’è grande passione, per quello che definisce «il mio meraviglioso mestiere che amo alla follia ogni volta che lo faccio». Passione che ha portato – e ci limitiamo a citare le produzioni elencate dal Festival nelle motivazioni – sui set di ‘Nirvana’ (Gabriele Salvatore, 1997), ‘Ovosodo’ (Paolo Virzì, 1997), ‘Viola bacia tutti’ (Giovanni Veronesi, 1998), ‘Lavorare con lentezza’ (Guido Chiesa, 2004), ‘Cado dalle nubi’ (Gennaro Nunziante, 2009), ‘Basilicata Coast to Coast’ (Rocco Papaleo, 2010). Come è iniziata questa carriera? «La formazione cinematografica l’ho fatta facendo la volontaria, poi nel piccolo ruolo di assistente, arredatrice e a seguire la scenografa. Il percorso è quello che una volta si chiamava “gavetta”». Anno particolare, il 1996 «quando, avendo lavorato ad alcuni film partiti da Roma, ho deciso di lasciare Milano per andare a vivere in quella meravigliosa città».

Passiamo a parlare di Paolo Virzì, uno dei registi più interessanti emersi in quel periodo. «Quando mi sono trasferita a Roma ho fatto dei piccoli lavori e ho conosciuto delle persone che conoscevano Virzì e così, per un gruppo di amicizie, ci siamo incontrati e saputo che ero una scenografa mi ha chiesto di lavorare per il suo secondo film, ‘Ferie d’agosto’. Poi c’è stato ‘Ovosodo’ e anche ‘My name is Tanino’, ma solo la parte italiana. Con lui ho fatto due film e mezzo, dopo di che ha deciso giustamente di lavorare anche con altri artisti». E Salvatores? «Ho fatto con lui solo un cortometraggio e l’arredamento di ‘Nirvana’: le scenografie di quel film erano di Giancarlo Basili, bravissimo scenografo, ma io ho fatto soltanto gli arredi. Poi “soltanto”: riempire tutta la fabbrica dell’Alfa Romeo, realizzare i quartieri di Marocco, Cina eccetera è stato un lavorone, per quel film un po’ sopra le righe».

Film con ambientazioni molto diverse: quanto varia il lavoro di scenografo e a quali film le piace di più lavorare? «Varia moltissimo. E direi le ricostruzioni storiche come la vita di Giancarlo Siani per ‘Fortapàsc’ di Mario Risi: bisogna avere una grande precisione sugli anni Ottanta, sugli ambienti della Camorra a Napoli in quel periodo, della redazione del ‘Mattino’. O la serie tv sul maestro Manzi – quello che nella trasmissione ‘Non è mai troppo tardi’ insegnava a leggere e scrivere  – realizzata da Campiotti: bisognava ricostruire la Rai degli anni Sessanta, un lavoro diverte, faticoso per il budget basso ma divertente. Le ricostruzioni storiche sono la mia passione, ma penso lo siano di tutti gli scenografi. Ho comunque fatto molte commedie, è un filone che non mi molla mai non so perché».

Non è più stimolante lavorare senza i vincoli della precisione storica, magari immaginando ambienti futuri? «Certo i film ambientati nel futuro richiedono molta immaginazione, ma non so quanto sarei contenta, non mi affascina così tanto preferisco raccontare il passato. O godermi il presente».

‘Fortapàsc’ è tra l’altro il film scelto per il premio e sarà proiettato domani alle 15.30 al GranRex. «Il direttore mi ha presentato una serie di titoli, di uno non avevamo l’autorizzazione di Sky e a quel punto d’accordo abbiamo optato per ‘Fortapàsc’. Questo è successo ad aprile-maggio. Nel frattempo è morto Libero De Rienzo, che era protagonista del film: questa cosa mi ha colpito molto e mi dispiace che si è parlato solo del fatto che è morto di droga non rispettando il dolore della famiglia, quando fanno così non amo tanto i giornalisti!».