Culture

Locarno Festival, le porte di Open Doors si aprono online

Intervista a Sophie Bourdon, responsabile del progetto che da diciotto anni va alla scoperta delle cinematografie emergenti

11 giugno 2020
|

Anche Open Doors, la sezione del Festival di Locarno che da diciotto anni va alla scoperta delle cinematografie emergenti, sarà online in questo strano 2020, all’interno della nuova iniziativa “For the Future of Films” che quest’anno prenderà il posto del tradizionale festival estivo.

I punti fermi di Open Doors rimangono comunque gli stessi: focus su una regione – il Sud-est asiatico, con 8 progetti e 9 produttori provenienti da Laos, Cambogia, Thailandia, Vietnam, Myanmar, Indonesia, Malesia, Filippine e Mongolia –, l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di una scena cinematografica collaborativa indipendente e due diversi contenitori, lo Hub (piattaforma per la coproduzione internazionale) e il Lab (training per produttori creativi), e alcuni film dai Paesi focus accessibili a tutto il pubblico nei giorni del festival, dal 5 al 15 agosto.

Un’edizione online rappresenta «un cambiamento molto importante, che presenta molte sfide» ci spiega Sophie Bourdon, responsabile Open Doors nonché viceresponsabile di Locarno Pro. «Solitamente accogliamo le delegazioni di Open Doors con i vari registi e produttori che arrivano a Locarno nel contesto del Festival… adesso dovremo trasmettere online le specificità del nostro festival, il nostro “tocco” particolare, la nostra identità, anche senza l’atmosfera di Locarno, senza le proiezioni in Piazza Grande…».

Insomma, mantenere anche online lo spirito di Locarno.

Dobbiamo restare un festival libero, responsabile, aperto sul mondo: Open Doors vive soprattutto sull’incontro, sullo scambio culturale. Ma penso avremo anche delle opportunità: se a livello di pubblico il periodo estivo è ideale, a livello professionale a volte non è facile per i professionisti venire a Locarno durante le vacanze, senza dimenticare le distanze geografiche. Online potremmo pensare di coinvolgere un pubblico più ampio, persone che hanno sentito parlare del Festival di Locarno ma che non sono mai venute perché il periodo non andava bene o perché il viaggio era troppo lungo.

Penso che quest’anno potremmo far scoprire ad ancora più persone la ricchezza del Festival di Locarno e di Open Doors.

L’online può essere positivo.

Sì. È un cambiamento: l’esperienza di un film in sala e online non sarà mai la stessa, ma penso che sia importante approfittare il più possibile della situazione. A seconda di come andrà, in avvenire potremmo avere, per i professionisti, un’edizione ibrida con un’edizione fisica, con l’incontro con registi e produttori, e per chi non può essere presente una versione online.

In Europa e in Nordamerica il mondo del cinema, dalle sale ai set, si è fermato a causa della pandemia. È avvenuto anche nei Paesi che Open Doors segue?

L’Asia conosce regolarmente delle crisi sanitarie, dei virus che si diffondono e questo è stato, se vogliamo, un vantaggio: la popolazione è già pronta a cambiare abitudini, a “funzionare diversamente” a livello individuale e collettivo. Non voglio dire che sia meno dura, anche perché si tratta di Paesi la cui economia si basa in buona parte sul turismo, ma la crisi ha forse colpito meno a livello psicologico, ha sconvolto meno le persone.

Nella regione di cui parliamo, il Sud-est asiatico, ci sono grandi differenze tra un Paese e l’altro, nelle strutture sanitarie e nella disponibilità finanziaria. Ma sono Paesi con un’energia notevole, una popolazione molto giovane: per molte persone sarà difficile andare avanti, ma credo ci siano le risorse per reagire.

Pensando al cinema, un’importanza differenza rispetto all’Europa è che nella maggior parte dei casi il cinema non è sostenuto, o lo è in minima parte, dalle autorità nazionali: il finanziamento pubblico non è determinante come da noi e lo stesso vale per le misure di aiuto previste per questa crisi sanitaria, il che rende la situazione ancora più complicata che da noi. Il fatto che non si sia annullata l’edizione di quest’anno di Open Doors è un segnale importante, un sostegno per il cinema di questi Paesi.

Tra i progetti selezionati quest’anno, anche un film d’animazione, opera del regista filippino Avid Liongoren. Queste produzioni sono in genere onerose: si tratta di un segno di crescita?

Sì, per Open Doors selezionare un film d’animazione è una prima. Ma non è nostra intenzione partire in questa direzione, perché come detto si tratta di film particolari per le competenze richieste, per i costi e i tempi di realizzazione – e ci sono già festival e altre iniziative dedicate all’animazione.

Abbiamo scelto questo film per come affronta un tema ancora tabù come l’omosessualità e a noi interessa mostrare la ricchezza creativa di un Paese dove c’è il potenziale non solo per documentari o film drammatici, ma anche per delle buone commedie o, come è il caso, per film d’animazione.

Open Doors ha lo scopo di scorprire cinematografie emergenti. Eppure non mancano registi con lavori selezionati da importanti festival internazionali: possibile che anche per loro ci sia ancora ‘bisogno’ di Open Doors?

È il mercato cinematografico che funziona così. È vero che il digitale ha semplificato alcuni aspetti, creato nuove possibilità e abbattuto alcuni costi, ma realizzare un film resta caro e come già detto in molto casi non ci sono fondi pubblici o sono molto bassi. E ogni progetto è un discorso a sé: non è perché il film porta la firma di qualcuno di conosciuto che la gente dà soldi senza sapere di cosa si tratta, chi ci lavora. E questo è vero non solo per i Paesi del sud del mondo, ma anche per l’Europa.

Come Open Doors inoltre puntiamo molto sullo scambio culturale, sull’incontro di altre tradizioni