In mostra al museo di Ligornetto dipinti e disegni del figlio di Vincenzo Vela, osservatore attento e critico delle trasformazioni del suo tempo
È una mostra che conviene vedere dalla fine, quella che il Museo Vela di Ligornetto dedica a Spartaco Vela, l’unico figlio del celebre scultore Vincenzo Vela e di Sabina Vela-Dragoni. Se infatti, saliti al primo piano del museo, si prende “contromano” il corridoio a destra anziché quello a sinistra, si ha un inaspettato colpo d’occhio sulla figura di questo sfortunato figlio d’arte. Vediamo infatti la biografia di Spartaco Vela, scritta sul muro che si trova dall’altra parte dell’ampio salone del museo: la vita dell’artista è riassunta in decenni e, anche se da quella distanza non si riescono a leggere i dettagli, vediamo che copre meno di cinquant’anni (appena 41, in realtà, come si scopre quando riprendendo il percorso corretto si leggono le date: morì il 23 luglio del 1895 di tubercolosi). A fianco della biografia, troviamo il volto di Spartaco Vela, in un dipinto misterioso: da lontano percepiamo lo sguardo intenso ed enigmatico. È un ritratto che gli fece l’amico Cesare Tallone intorno al 1880 – e di nuovo, riprendendo il percorso corretto perché il dipinto ha un’aria surreale: Tallone utilizzò, capovolta, una tela incompiuta che originariamente raffigurava la Sala del Consiglio Maggiore di Palazzo Ducale a Venezia. Proprio sotto il quadro di Tallone, al piano terreno del museo, vediamo il gesso di una delle opere più conosciute di Vincenzo Vela: il celebre Spartaco liberato, la cui versione in marmo troviamo a Palazzo Civico a Lugano, realizzata pochi anni prima della nascita del figlio al quale lo scultore darà lo stesso nome.
Da questa visione d’insieme percepiamo qualcosa di Spartaco Vela: una vita breve, incompiuta ma a suo modo completa come il ritratto di Tallone, e indubbiamente influenzata dall’ingombrante figura del padre.
Spartaco Vela è nato a Torino nel 1854, dove all’epoca il padre insegnava scultura all’Accademia Albertina. Nel 1867 la famiglia si è trasferita a Ligornetto, dove il giovane Spartaco ha proseguito gli studi sotto la guida del sacerdote liberale Giacomo Perucchi, mostrando un certo talento per le scienze naturali. Talento che ebbe seguito: seguendo il desiderio paterno – e torniamo qui all’ingombrante figura del genitore – pochi anni dopo Spartaco è andato all’Accademia di Brera (è qui che conobbe, tra gli altri, Tallone) per diventare anche lui artista.
La sua carriera artistica sostanzialmente si allinea ai grandi filoni della scuola lombarda del secondo Ottocento. È un figlio del suo tempo, come ha sintetizzato durante la conferenza stampa di presentazione Antonia Nessi, la curatrice della mostra nonché direttrice del Museo Vela. Ma non nel senso del passivo recettore di mode e stili: è al contrario un osservatore attento e critico della sua epoca e anche nelle opere più “allineate” al periodo si capisce che fanno parte di un percorso di studio che dovrebbe portarlo a sviluppare un proprio stile.
Da questo punto di vista possiamo dividere la mostra in due parti, con la svolta che avviene proprio nella sezione che dà il titolo all’intera mostra – “Impressioni dal vero” – e nella quale questo stile è, per quanto sempre in continuità e dialogo con i suoi contemporanei, ormai definito. Interessante anche la sala successiva dedicata al lavoro: pur restando lontano dalla denuncia sociale, lo sguardo di Spartaco Vela è rispettoso e oggettivo e sobrio, ritraendo con dignità figure di umili lavoratori e lavoratrici come spazzacamini, lavandaie e cucitrici. Fino ad arrivare all’opera presente nell’ultima sala – quella che ha rischiato di essere la prima, nel nostro percorso contromano –, la ‘Madonna dei monti’ presentata nel 1891 alla Triennale di Milano con il titolo ‘Pace’, con il suo gioco tra la dimensione umana e sacra della maternità (e infatti nel suo testamento parla del dipinto come ‘Madre dei monti’) e un paesaggio non idealizzato ma studiato dal vero.
Nella seconda metà della mostra si vede, come detto, uno Spartaco Vela maturo, ma non che la prima parte sia meno interessante. La prima sala, dopo quella introduttiva con la biografia e il ritratto di Tallone, è dedicata alla famiglia Vela, ed è curioso confrontare il dipinto di un momento intimo di padre, madre e figlio realizzato da Enrico Gamba nel 1857 con il ritratto che quasi trent’anni dopo Spartaco realizzò al padre. Abbiamo poi i lavori di formazione, soprattutto disegni, e il grande dipinto ‘Rispa’ che all’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento Spartaco presentò alle Esposizioni nazionali di Milano e di Zurigo, ottenendo il riconoscimento internazionale. Riprendendo un episodio biblico – il sacrificio dei figli di Saul –, questo dipinto di grandi dimensioni raffigura una madre che, con muta rassegnazione, veglia i corpi dei suoi due figli impiccati in un paesaggio spoglio e maestoso.
Oltre a dipinti e disegni, in mostra troviamo diversi documenti storici: fotografie all’albumina – alcune realizzate dallo stesso Spartaco come base per i dipinti – e documenti. Tra questi, un pamphlet pubblicato anonimo e dedicato alla ferrovia del Monte Generoso. Questo ‘Lamento di un montanaro’ che denuncia lo snaturamento della montagna riassume la complessità della sua figura: la prima impressione è quella di un nostalgismo antimodernista, al quale verrebbe da rispondere declamando lo ‘Uccidiamo il chiaro di Luna!’ di Marinetti (pubblicato appena una ventina di anni dopo), troviamo in realtà una critica dell’impatto del turismo sul territorio che si rivela incredibilmente attuale.
Sempre tra i documenti, troviamo il testamento di Spartaco Vela, quello con la donazione alla Confederazione della villa e della collezione. Questa mostra, la prima curata dalla nuova direttrice Antonia Nessi, è quindi anche una sorta di omaggio, a quasi 130 anni dalla morte, alla persona che ha reso possibile la nascita del Museo Vela.