Il museo di Rancate dedica una mostra all’artista luganese divenuto il ‘pittore di storia’ per i Savoia
Carlo Bossoli è “artista ticinese di origine, italiano d'adozione e giramondo per vocazione”, come si legge nella presentazione della mostra che la Pinacoteca Züst di Rancate gli dedica fino al 23 febbraio. E, nei limiti della necessaria sintesi di una simile frase a effetto, la citazione presenta bene la vita di Bossoli, nato a Lugano nel 1815 e cresciuto a Odessa, dove la famiglia si era trasferita in cerca di fortuna. Dopo aver compiuto alcuni viaggi di formazione in Italia, si stabilì a Milano più o meno definitivamente nel 1843 – e il “più o meno definitivamente” si riferisce ai numerosi viaggi per l'Europa che fece fino alla morte, avvenuta a Torino nel 1884.
Questa – di nuovo fin troppo sintetica – biografia di Bossoli vale un po’ anche come presentazione della mostra curata da Sergio Rebora, con il coordinamento scientifico di Mariangela Agliati Ruggia e Alessandra Brambilla. Rebora ha infatti deciso di impostare il percorso espositivo partendo dalla singolare biografia di Bossoli. Singolare non tanto per l’infanzia a Odessa: l’emigrazione era tutt’altro che eccezionale, all’epoca, e quella città, da poco strappata ai turchi e divenuta porto franco, era un fiorente luogo di commercio. Quello che sorprende, ha puntualizzato Rebora, è come un artista i cui ritratti e vedute erano tra le opere più apprezzate e ricercate, anche grazie al nascente mercato delle riproduzioni, fosse un autodidatta – e in pieno Ottocento, definito sempre da Rebora, forse con un po’ di esagerazione, “il secolo delle accademie”.
Tornando alla mostra, con questo approccio biografico e geografico il visitatore si trova così coinvolto in una sorta di “grand tour”, passando di sala in sala da Lugano a Venezia e Roma e poi ancora Scozia, Irlanda, Spagna, Marocco e altre mete ancora più lontane: Bossoli, artista del suo tempo, risentirà infatti come molti suoi contemporanei di quella “fascinazione per l’Oriente” che nel suo caso passa anche per le richieste dei suoi committenti, tra i quali figura un notevole elenco di famiglie nobiliari.
Proprio quell’elenco di committenti – con cui c’era spesso un rapporto non solo commerciale ma di stima e amicizia – lascia un po’ sorpresi. Carlo Bossoli, come ha spiegato Mariangela Agliati Ruggia in conferenza stampa, per fama raggiunta in vita era paragonabile ad Antonio Ciseri o a Vincenzo Vela. Oggi quel confronto è impossibile da fare e anche in quel Ticino dove è nato e al quale si è sempre sentito legato è una figura minore. Tanto che questa mostra alla Pinacoteca Züst arriva cinquant’anni dopo l’ultima realizzata su di lui. Perché questo oblio? A livello generale ha forse giocato un ruolo l’essere, come accennato, un artista del suo tempo e quindi a suo modo destinato a sparire con le grandi trasformazioni avvenute a fine Ottocento (come spiegato da Rebora, una prima riscoperta avverrà negli anni Cinquanta del Novecento). Per quanto riguarda la memoria collettiva ticinese, Agliati Ruggia ha ricordato che certo Bossoli si sentiva legato al Ticino e alla Svizzera, tanto da chiedere di essere sepolto a Lugano – in una tomba ornata da una statua realizzata da Antonio e Giuseppe Chiattone, restaurata in occasione di questa mostra –, ma non essendo così presente in Ticino il sentimento non era forse reciproco, nonostante una non trascurabile presenza di sue opere nelle collezioni private.
Finora si è parlato soprattutto di vedute e ritratti. Ma l’attività di Carlo Bossoli – e bastano pochi passi negli spazi della Pinacoteca Züst per rendersene conto – ha anche un altro sviluppo che lo avvicina alla figura, che tra l’altro si sviluppa in senso moderno proprio in quegli anni, del reporter.
Bossoli fu, per la casa reale dei Savoia, una sorta di “pittore di storia”: gli commissionarono ben 150 tra tempere e litografie per documentare varie “imprese del regno”, tra cui la nascita della ferrovia Torino-Genova. Ma l’animo di cronista di Bossoli lo si vede negli anni dell’Unità d’Italia, quando al seguito dell’esercito sabaudo documenta eventi e battaglie, come peraltro aveva fatto qualche anno prima durante le Cinque giornate di Milano.