La capacità di adattarsi a un ambiente mutevole e diverso nelle opere di proprietà di Villa dei Cedri e Posta Svizzera, dal 14 settembre al 10 novembre
Le questioni non prettamente artistiche sulle Poste che collezionano arte e chiudono uffici le lasciamo alle pagine prettamente bellinzonesi. Molto prima dell’agitazione pomeridiana odierna, il gigante giallo e il locale Museo Villa dei Cedri hanno ufficializzato la condivisione di un ‘Giardino di acclimatazione’, la collezione d’arte della Posta Svizzera con quella del museo di Piazza San Biagio, messe “in dialogo”, come si dice oggi. A separarle ci sono una sessantina d’anni, stante la Risoluzione federale del 1887 prima e l’Ordinanza del 1924 poi, che sancisce il centenario del sostegno all’arte da parte delle Poste, già festeggiato con una prima mostra al Bündner Kunstmuseum di Coira e da festeggiarsi anche a Bellinzona, dal oggi sino al 10 novembre, nel Museo la cui collezione prende forma nei primi anni Settanta, forte di una prima ‘dotazione’ di ritratti e paesaggi, integrati nel tempo con arte non esclusivamente ticinese, anche contemporanea.
Tutto è in dialogo a Villa dei Cedri, a partire dalle curatrici. La direttrice del museo oltre che Presidente dell’associazione dei musei svizzeri (Ams), Carole Haensler, e la responsabile del Servizio specializzato Opere d’arte della Posta Svizzera, Diana Pavlicek. La prima esprime l’auspicio di “trasmettere il piacere di questa collaborazione”, fondata su “costruzione, mutuo scambio, mutuo arricchimento”. Il tema dell’acclimatazione è da leggersi a vari livelli, non solo umano, animale, botanico o ambientale, ma anche di struttura, per questa Villa nata come dimora privata e diventata luogo d’arte. Acclimatazione è atto che si chiede anche all’istituzione pubblica: “Da presidente dei musei svizzeri – spiega Haensler – la sfida è da tempo quella dell’adattamento a nuove realtà, è la sostenibilità, il digitale, la partecipazione, l’inclusione, sfide che un museo non può affrontare da solo, e collaborazioni come queste vanno in questa direzione”. Ulteriore acclimatazione è quella per la quale opere più recenti entrano in dialogo con altre più antiche, completandole e completandosi.
Pavlicek raccoglie l’auspicio iniziale, ricorda a chi ancora non lo sapesse che le Poste collezionano opere d’arte e che “ci sembrava il momento giusto per mostrarle al grande pubblico”. Il che è un bene, visti alcuni tentativi precedenti di portare l’arte al pubblico, poi finiti in qualche magazzino (la cosiddetta ‘fontana mobile’ di Pierino Selmoni, la cui ‘Sfera’ riapparve nel maggio del 2023 dopo un decennio di oblio, e la vasca adibita a ‘salottino’).
Nell’intento comune di entrambi, Poste e Museo, di documentare i cambiamenti culturali e sociali in atto in Svizzera e non solo, sono una settantina le opere esposte tra dipinti, stampe, sculture e fotografie – una quarantina di proprietà del gigante giallo, una trentina di Villa dei Cedri, più alcuni prestiti. In questo luogo che ha mantenuto l’intimità della residenza privata (“Abbiamo solo tolto le porte delle stanze”, commenta con ironia Haensler), al pian terreno vanno in scena le intimità reciproche di Félix Vallotton e Mirko Baselgia, divise da decenni. La sala di Marta Margnetti e Isabelle Krieg è in realtà un’anticamera che porta all’‘esterno’, alle visioni di Gian Paolo Minelli che documenta a modo suo la distruzione di una favela di Buenos Aires; di fronte, le metropolitane illusioni ottiche del duo Taiyo Onorato e Nico Krebs. Una stanza ancora e il cambiamento climatico ha il suo esempio vivente nella forma circolare della tenda da sole esposta agli elementi, poi dismessa, da Brigham Baker, parte della serie ‘Shade’. Il ‘Paravento’ autonomo ed ecosostenibile concepito dal duo Christiana Hemauer e Roman Keller, unione di pannelli solari, tillandsie e ventilatori, merita visione dal vivo.
Museo Villa dei Cedri
Emilio Longoni Ghiacciaio (1910–1912), olio su tela
Una stanza ancora e si apre (metaforicamente) il paesaggio, in un percorso che dal 1931 di Giovanni Giacometti e i suoi incidenti (‘Incidente in inverno’, ‘Incidente in estate’) – messo di fronte al pupazzo (pupazza) di neve di Janet Mueller (‘Auch ein Schnee ‘mann’ muss mal starben’, 2023) – porta al ghiacciaio di Emilio Longoni di inizio Novecento, che si specchia in quelli (effimeri) di Julian Charrière a cent’anni di distanza, dando vita al confronto tra l’intatto e il contaminato, tra comuni preoccupazioni sul futuro dei giganti (bianchi, in questo caso). Uno sguardo lo meritano anche i due ‘Gravity Flow’ di Douglas Mandry, che ha dato forma ai ‘mulini glaciali’, le cavità che si formano sotto la superficie con l’acqua in fusione, ‘spazi negativi’ riprodotti in vetro riciclato soffiato, forme di ghiacciai che non esistono, ma che ghiacciai sembrano.
Attraversando più ‘Fantasie vegetali’ – un’esplosione di piante, fiori, frutta e ortaggi, produttori di un momento poetico (“Non siamo moralizzatori”, dice Haensler nel voler garantire anche “l’esperienza puramente estetica di un museo”), si giunge alla sala delle nuove tecnologie, affascinati dall’installazione del duo artistico vodese Fragmentin che affronta la tematica del riscaldamento climatico con un iPhone (parlante) appeso in un terrario, esposto a lampade riscaldanti… (si lascia il finale al visitatore). Di fronte, a testimoniare il balzo tecnologico vissuto, la tecnologia ai tempi di Fiorenza Bassetti, nel ‘Ritratto dello sguardo’ del 1988, prodotto da più stampanti ad aghi (per chi se le ricorda). Alla fine, tutto ci porta a ‘Seasons’ del duo svizzero Dorota Gawęda & Eglė Kulbokaitė, tecnica che potremmo ribattezzare “Intelligenza artificiale su tela grezza”, visione così potente da divenire l’immagine ufficiale della mostra, ma capace anche di portare a chiederci (ancora Haensler) “cosa ne sarà degli artisti e delle curatrici” (e anche di chi ne scrive).
Collezione d’arte della Posta Svizzera
D. Gaweda & E. Kulbokaité, ‘Seasons’, 2022