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Luigi Ghirri, il geometra che fotografava i turisti

Al Museo d'arte della Svizzera italiana l'esposizione dedicata al fotografo italiano scomparso nel 1992

Marina di Ravenna, 1986
(Eredi di Luigi Ghirri)
5 settembre 2024
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Chi è Luigi Ghirri lo si scopre alla fine del percorso espositivo: dopo aver attraversato le 140 fotografie a colori selezionate per la nuova mostra del Museo d’arte della Svizzera italiana, troviamo nell’ultima sala, stampati sulla parete, i “cenni biografici” e un filmato di una decina di minuti con interviste al curatore James Longwood e ad Adele Ghirri, figlia di Luigi.

Scopriamo così che Ghirri è nato nel 1943 a Scandiano, vicino a Reggio Emilia, nel 1962 è diventato geometra e, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, ha incontrato alcuni artisti concettuali e iniziato a fare le prime fotografie, abbandonando poco dopo il lavoro da geometra. I “cenni biografici” proseguono poi con progetti, mostre, pubblicazioni e altro ancora fino alla morte improvvisa avvenuta nel 1992.

Il geometra e il sorgere della terra

La biografia sul muro sembra raccontare la classica storia di una conversione artistica, quella quasi stereotipata di chi inizia una professione prevalentemente tecnica accorgendosi poi di avere una vocazione ben più creativa che abbraccia con successo.

Il filmato che troviamo sul muro opposto alla biografia, tuttavia, racconta un’altra storia, meno scontata e più interessante: nelle foto di Ghirri, spiega il curatore, ritroviamo certamente “l’animo di un poeta”, ma anche e forse soprattutto “l’occhio del geometra”, nel modo di guardare e inquadrare il territorio e l’ambiente. Ancora più interessante quanto dice la figlia: la conversione alla fotografia, se di conversione vogliamo parlare, non avvenne in seguito all’incontro con l’arte concettuale, ma con una fotografia nata in un contesto tutt’altro che artistico. Adele Ghirri parla della prima foto della Terra vista dalla Luna, riferendosi con ogni probabilità al celebre ‘Earthrise’, il ‘Sorgere della Terra’ fotografato il 24 dicembre del 1968 dall’astronauta William Anders durante la missione Apollo 8. Quella foto ebbe un enorme impatto culturale – secondo alcuni fu fondamentale per lo sviluppo del movimento ambientalista, affermazione eccessiva ma non priva di fondamento – e non stupisce che colpì molto anche il ventiseienne Ghirri, spingendolo a dedicarsi alla fotografia (mantenendo comunque, almeno per qualche anno, la professione di geometra).

Poco prima che Anders scattasse ‘Earthrise’, il comandante della missione Frank Borman fece un altro scatto in bianco e nero della Terra che sorge dietro la Luna, sgridando scherzosamente Anders che cercava il rullino a colori perché “quella foto non è programmata”. È un particolare interessante perché Ghirri, contrapponendosi alle classiche foto d’arte, non scattò mai immagini in bianco e nero ma le volle sempre a colori, “perché la realtà è a colori e abbiamo inventato le pellicole a colori” (citazione riportata da Longwood durante la conferenza stampa). Le connessioni tra i lavori di Ghirri e ‘Earthrise’ non finiscono qui – ed è un peccato che l’esposizione al Masi non abbia valorizzato queste similitudini –, perché in entrambi i casi possiamo parlare di “foto di viaggio”: certo gli astronauti delle missioni Apollo sono gli esseri umani che più si sono allontanati da casa per recarsi in un posto che, almeno finora, è tutt’altro che una meta turistica, ma c’è comunque quell’idea della fotografia come traccia di un qualcosa di insolito che si vuole ricordare. Soprattutto, c’è la consapevolezza che la fotografia non è neutro strumento di documentazione, ma cambia l’esperienza e le aspettative del viaggio, in un processo che può benissimo accogliere una qualche forma di sensibilità artistica.

Immagini del turismo

È la grande trasformazione Ghirri vive negli anni Settanta: la nascita del turismo di massa con le fotografie che diventano prodotto di massa ma non ancora banalizzato dagli smartphone che permettono di scattare centinaia di foto. La pellicola, lo sviluppo e la stampa sono ancora un costo non trascurabile e ogni foto è pensata e voluta prima di essere scattata. Così Ghirri nelle sue fotografie di viaggio – lavori personali ma anche servizi fotografici per enti turistici e per il Touring Club Italiano – ritroviamo i luoghi classici come Versailles o le spiagge di Orbetello, ma con uno sguardo diverso e insolito che forse Longwood ha ragione, a definire “l’occhio del geometra e l’animo del poeta”. Ne è un esempio la fotografia dei Faraglioni di Capri, ritratti da un insolito punto di vista. Oltre alle attrazioni turistiche, in diverse immagini troviamo, ovviamente, gli stessi turisti, spesso ritratti di spalle o da lontano, quasi fossero parte del paesaggio.

La sensibilità artistica di Ghirri è particolarmente evidente nell’ampio gruppo di immagini dedicate al parco tematico Italia in miniatura nei pressi di Rimini, dove la dimensione giocosa delle sue fotografie si interseca con una profonda riflessione su cosa è una immagine e qual è il suo rapporto con una realtà che – è il caso di un modellino del Pirellone di Milano a pochi passi dalle Dolomiti e dalla Basilica di San Pietro – è spesso essa stessa immagine. Un tema che troviamo anche nella prima sezione della mostra, intitolata ‘Paesaggi di cartone’ (un nome scelto dallo stesso Ghirri per un progetto poi confluito nel più ampio ‘Kodachrome’) e dedicato appunto alle “immagini trovate”, come cartelloni pubblicitari o cartoline.

La mostra, come accennato, presenta 140 immagini a colori, con molte stampe vintage degli anni Settanta e Ottanta provenienti principalmente dagli Eredi di Luigi Ghirri e dalla collezione del Centro studi e archivio della comunicazione dell’Università di Parma (dove Ghirri ha insegnato negli anni Ottanta). L’allestimento segue alcuni nuclei tematici – come le fotografie, raccolte nella sezione ‘Viaggi in casa’, realizzate in casa ingrandendo piccoli dettagli di mappe geografiche o gli oggetti di casa, dai dischi ai souvenir –, accostando quindi immagini realizzate in momenti diversi in un percorso che il curatore ha definito “fluido”, lasciando a chi visita la mostra decidere come percorrerla, all’andata e al ritorno – un po’ come capita da turisti che visitano una città, un atteggiamento che viene qui descritto riprendendo una citazione di Ghirri sugli “strani grovigli del vedere”.

La mostra, curata come detto da James Lingwood con il coordinamento di Ludovica Introini, sarà inaugurata l’8 settembre e rimarrà aperta fino al 26 gennaio.

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