Si inaugura oggi a Monte Carasso la mostra del fotografo islandese
“È stata l’ultima foto che ho scattato con quella macchina fotografica in quel viaggio: la macchina si è congelata e l’emulsione della pellicola si è completamente condensata”.
Quando si visita una mostra, giustamente si dedica tutta l’attenzione alle opere esposte limitandosi a un’occhiata rapida alle didascalie. Sarebbe tuttavia un peccato fare lo stesso alla mostra fotografica di Ragnar Axelsson che si apre oggi allo SpazioReale di Monte Carasso.
Sarà per il suo passato di fotoreporter – dopo gli studi negli Stati Uniti, ha lavorato per anni per il principale quotidiano islandese, il ‘Morgunblaðið’ – o per una sua sensibilità personale, ma le immagini di Axelsson sono intessute di storie.
Così, l’allestimento curato da Enrica Viganò ha valorizzato queste storie inserendole in lunghe didascalie – è da una di queste che proviene il breve estratto dal quale si è partiti – oltre che in due brevi filmati proiettati al livello inferiore di SpazioReale. Il percorso espositivo è composto, in tutto, di una quarantina di immagini in un bianco e nero forte e luminoso, realizzate da Ragnar Axelsson nel corso di diversi decenni trascorsi nell’Artico, da lui scelto, dopo aver concluso la sua esperienza di fotogiornalista, quale scenario per la sua nuova carriera: fotografo d’arte.
Le storie e le immagini di Ragnar Axelsson mostrano e raccontano i luoghi della regione artica che lui ha percorso estesamente: l’Islanda dove è nato e cresciuto, la Groenlandia, le Isole Fær Øer, la Siberia.
In quelle immagini c’è il fascino di un ambiente estremo, nel quale può appunto capitare, se si vuole scattare una foto all’aurora boreale, di congelare la macchina nei -20 gradi delle tre del mattino di Tiniteqilaaq, un villaggio di un centinaio di abitanti della Groenlandia. Altre volte, come ha raccontato il fotografo in un’intervista, a congelarsi sono le dita quando si è costretti, per cambiare pellicola, a togliersi gli spessi guanti indispensabili in quelle regioni. O ancora di trovarsi alla deriva su un blocco di ghiaccio che si è staccato dalla banchisa.
Ma le immagini di Axelsson raccontano anche la fragilità di quell’ambiente, dove l’aumento globale delle temperature si traduce in un ghiaccio più sottile che vediamo non sotto forma di grafici astratti, ma di animali disorientati da un territorio che improvvisamente si fa debole, nel quale la slitta diventa una scialuppa di salvataggio dalla quale è impossibile scendere, sapendo che la pressione del piede spezzerà il ghiaccio. Sempre in una intervista, Axelsson si è detto convinto che quelle immagini possano aprire gli occhi alle persone, perché anche i grandi fotografi possono contribuire a cambiare le cose.
Nelle immagini in mostra non troviamo solo un ambiente estremo e fragile: Axelsson mostra e racconta, anche e soprattutto, le persone che vivono in quei luoghi. E che, per essere avvicinate, spesso richiedono ancora più cautela del ghiaccio sottile: è qui che viene fuori il vero lavoro del fotografo, nel quale le relazioni umane sono altrettanto importanti di pellicole e obiettivi, per cogliere momenti particolari come bambini che corrono nei villaggi o estemporanee partite di calcio approfittando delle poche ore di sole nelle brevi giornate invernali. E per capire la capacità di Axelsson di entrare in contatto con le persone, è utile la storia della fotografia scelta come manifesto di questa mostra (e che è la foto principale di questo articolo).
È l’immagine che ha reso celebre Axelsson, che lo ha trasformato da semplice fotografo islandese ad artista internazionale. È la sua ‘Yesterday’ come, in una analogia musicale con i Beatles, racconta in uno dei due filmati proiettati in mostra. E come tutti i successi, arriva grazie a tanto impegno e un po’ di fortuna: l’impegno di conquistare la fiducia di Guðjón Þorsteinsson, un contadino di Garðakot in Islanda, e di accompagnarlo in una giornata di maltempo al promontorio di Dyrhólaey alla ricerca di un predatore che faceva strage di uccelli; la fortuna di essere lì, con la macchina fotografica, mentre un’onda nebulizza l’acqua di mare e la preoccupazione sul viso dell’uomo si allenta per un attimo.
L’esposizione ‘Immenso e fragile: un racconto dal Nord’ si inaugura oggi alle 18 alla presenza della curatrice della mostra Enrica Viganò e rimarrà aperta fino al prossimo 30 giugno.
Mercoledì 5 giugno alle 20.30, invece, SpazioReale ospiterà l’incontro organizzato in collaborazione con l’Associazione Claro-Pizzo con l’alpinista svizzero Daniel Arnold. Attraverso il dialogo con la giornalista Alice Pedrazzini, appassionata del mondo alpino, Arnold racconterà delle sue ascese ed esplorerà la sua passione per i ghiacci.