Allo Spazio Officina di Chiasso la prima mostra postuma dedicata all’artista (ma lui preferiva definirsi artigiano) valmaggese. Dal 19 marzo al 1° maggio
Un pugno in pancia. Ecco la sensazione – forte – che secondo Pierre Casè l’arte deve suscitare in chi la osserva, la guarda. Solo così significa che ha trasmesso qualcosa.
L’artista valmaggese lo raccontava a una platea di ragazzini delle scuole medie di Caslano nel 2018, il giorno della presentazione pubblica de ‘Il Bestiario’, installato nella biblioteca. Chiusa l’analessi, rieccoci al presente: entrando nell’enorme locale dello Spazio Officina di Chiasso, quella sensazione lì è moltiplicata a mille, guardando proprio le sue opere.
Il luogo espositivo votato alla grafica ospita infatti la mostra ‘Pierre Casè - Arte e grafica tra memoria e oblio’, che sarà inaugurata sabato 18 marzo (alle 18) e visitabile dal 19 marzo al 1° maggio prossimi, come ricordato in conferenza stampa.
Curato dallo storico e critico d’arte Dalmazio Ambrosioni e dalla direttrice del museo chiassese Nicoletta Ossanna Cavadini, l’allestimento è il primo postumo dedicato al pittore, morto a 78 anni, nell’agosto del 2022 a Maggia, dove viveva e lavorava da tempo. Nei cinquecento metri quadrati sono esposte 222 opere, fra grafiche (65) e lavori ‘materici’ (153) di piccolo e grande formato, in un percorso che si snoda in quattro blocchi. La mostra punta la luce sui lavori grafici di Casè (realizzati fra il 1971 e il 2016) che sono inediti e attraverso cui il pittore studiava forme, volumi e rapporto con lo spazio.
Andava scritto subito che all’immaginazione prima e all’elaborazione del progetto espositivo poi (durata due anni) ha preso parte – fino all’ultimo – lo stesso artista, che preferiva definirsi un artigiano, ha ricordato la moglie Sandra a margine della presentazione.
Il pittore (seppur si divertisse a fare incursioni in altri generi come incisione e illustrazione) dopo aver fatto anche il gelataio e il marronaio (lo raccontava nel 2018), aveva iniziato a lavorare nell’ambito delle arti applicate come vetrinista per i magazzini Jelmoli: il contesto era quello degli anni Sessanta a Locarno, epicentro culturale molto vivace e all’avanguardia. Quegli esordi sono stati decisivi per il suo sviluppo artistico e per l’elaborazione di una metodologia di lavoro (precisa e accurata). La pittura iniziò ad abbordarla da autodidatta frequentando gli atelier di Bruno Nizzola e Filippo Boldini, così come quello dello scultore Max Uehlinger.
Nel corso della presentazione, Ambrosioni ha raccontato anche un aneddoto che coinvolge Lucio Fontana. Nel 1966, la Galleria Flaviana di Locarno dedicò una mostra all’artista italiano naturalizzato argentino, tuttavia il maestro dei tagli nelle tele aveva dimenticato il taglierino… che gli fu prestato proprio da Casè.
La sua indole lo spingeva «a cogliere tutto il possibile dalle esperienze vissute – ha continuato il critico –, che lo hanno aiutato a crescere come artista» in quel ricco contesto storico fatto, fra gli altri, dagli atelier di Remo Rossi attorno ai quali gravitavano artisti locali e internazionali.
Rieccoci a Chiasso. Casè, entusiasta, si era fatto costruire un modellino dello Spazio Officina che gli permise di prefigurare il concetto installativo che ripercorre cinquant’anni della sua storia creativa, contraddistinta da tanta ricerca e da tanto lavoro, che ha nell’oblio (tema guida della stagione culturale chiassese) e nella memoria i suoi cardini, espressi in vari linguaggi: astratto, informale, materico.
Il richiamo alle origini (con tutto il loro bagaglio naturale, storico, tradizionale e culturale) è molto forte nei suoi lavori, a iniziare dai materiali impiegati raccolti in Vallemaggia (luogo di continua ispirazione): dalla sabbia, alla terra, ai chiodi arrugginiti, alla corteccia. Un ritorno alle origini che non significa però nostalgia, ma occasione di crescita: «Un sentimento a suo modo di vedere cui bisogna rifarsi per trovare linfa per rinnovarsi», ha chiosato Ambrosioni.
Il concetto della memoria è altresì centrale nella sua riflessione. Il recupero di materiali naturali raccolti in valle, così come gli oggetti, non è "solo" una scelta formale, ma anche di contenuto. Ciascun elemento è ricettacolo di una storia che se non fosse per l’urgenza (e la missione) dell’artista andrebbe persa, dimenticata: il passaggio umano (nel bene e nel male) sarebbe destinato all’oblio.
L’iniziativa – possibile grazie alla collaborazione con l’Archivio della memoria nell’atelier di Casè a Maggia – si inserisce nel "filone degli approfondimenti tematici di artisti contemporanei legati per nascita o per operatività al Canton Ticino", che è la missione dell’ente, e si lega al tema annuale che coinvolge tutte le entità del Centro culturale Chiasso dedicato all’oblio. Accompagna l’esposizione un catalogo con la stampa di tutte le opere, arricchita di tre saggi critici scritti da Dalmazio Ambrosioni, Luciano Caprile e Nicoletta Ossanna Cavadini. Oltre al volume, il percorso espositivo è concluso da ‘Come in una favola. Pierre Casè, Maggia, Ticino’ (2016), un documentario di René Pandis e Thomas Radlwimmer.
Telegraficamente: Pierre Casè nacque a Locarno nel febbraio del 1944. Dal ’67, è stato membro attivo (ricoprendo anche la carica di presidente) della Società pittori, scultori e architetti svizzeri (Spsas); dal 1990 al 2000 ha diretto la Pinacoteca Casa Rusca di Locarno, organizzando esposizioni di rilievo internazionale. Prima del 2001 (anno in cui decise di dedicare tutto il suo tempo all’arte in seguito a un ictus), ha sempre affiancato al lavoro personale, attività che gli permettessero di sbarcare il lunario, come la docenza allo Csia.
Informazioni e approfondimenti su www.pierrecase.ch e www.centroculturalechiasso.ch.