Il Centro Paul Klee ospita fino al prossimo 7 maggio un’esposizione che mette in luce le opere tardive dell’artista spagnolo
Il Centro Paul Klee di Berna espone fino al prossimo 7 maggio opere tardive e poco note dell’artista spagnolo Joan Miró (1893-1983). Una pittura grezza ed energica, lontana dal Miró più conosciuto.
Non è un caso che l’esposizione ‘Joan Miró. Nuovi orizzonti’ venga mostrata proprio al Centro Paul Klee. Miró provava infatti grande ammirazione per l’artista svizzero Paul Klee e per la sua opera, hanno indicato gli organizzatori della mostra. I due non si sono però mai incontrati.
La mostra è frutto di una stretta collaborazione e di uno scambio con la Fundació Joan Miró di Barcellona, dove in questo momento sono esposti dipinti di Paul Klee appartenenti all’istituzione bernese. Alcune delle opere in mostra a Berna provengono anche dalla Fundació Pilar i Joan Miró di Maiorca.
Nel 1956, Miró corona il suo sogno di far costruire un grande atelier a Palma di Maiorca, dove si trasferisce con la famiglia: questo è il punto di partenza della mostra come ha raccontato la curatrice dell’esposizione Fabienne Eggelhöfer. Perché è proprio sull’isola che l’artista esplora nuovi orizzonti della sua arte e inizia un nuovo percorso artistico, diverso dai suoi paesaggi onirici e surrealisti degli anni 1920-30. L’ampio spazio a disposizione gli permette di rivisitare in modo critico i suoi vecchi dipinti e cercare nuove forme di espressione, ha precisato Eggelhöfer. Lo scopo: sviluppare un linguaggio pittorico semplice e universale.
Ne è un esempio ‘Autoritratto 1937-1960’: l’artista prese la copia di un autoritratto molto fine e dettagliato che si fece nel 1937 rivisitandolo nel 1960 e aggiungendo elementi astratti, come due cerchi neri per indicare gli occhi. In questo dipinto arte figurativa e astratta sono sovrapposte e in stretto contatto, un gioco questo che rimane al centro della pratica di Miró. In un altro dipinto ‘Figure at Sunrise on the River Bank’, 1965, Miró si riappropria di un’opera d’arte, dipingendo sopra a un paesaggio capovolto, anche qui astrazione e figurazione vanno a braccetto.
La mostra colpisce in particolare per le tele in grande formato e per il loro lato grezzo, per alcune opere Miró utilizzava anche il fuoco, versando benzina su parti della tela, dando quindi fuoco. La struttura della tela, parzialmente visibile diventa parte dell’opera d’arte. L’artista si allontana allora dalla figurazione per abbracciare l’astrazione: Miró posava la tela per terra e faceva colare il colore direttamente dall’alto. Su alcune superfici si scorgono anche impronte di suole di scarpa. Oltre alla tela, l’artista usava altri supporti, come in ‘Sobreteixim 13’, 1973, dove ha ripreso una tradizione catalana su tessuto, sviluppandola ulteriormente e dipingendovi sopra.
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‘Sobreteixim 13’, 1973
La voglia di libertà di Miró si rispecchia nella riduzione al minimo necessario nelle sue opere tardive. "Miró voleva dipingere liberamente", ha ricordato Eggelhöfer, liberandosi del cavalletto e spargendo colore sulla tela. Quella voglia di libertà ha un’origine: nel 1947, l’artista si è recato per la prima volta negli Stati Uniti dove ha incontrato giovani artisti come Jackson Pollock e Louise Bourgeois. "Ed è proprio in questi incontri che Miró trova il sostegno ad abbandonare il cavalletto, lavorare gestualmente e dedicarsi ai grandi formati", ha aggiunto la curatrice. Miró raggiunge l’apice della riduzione al minimo e anche la più grande libertà con il dipinto ‘Paesaggio’, 1968, una tela dipinta di bianco con un accenno di un puntino blu.
L’esposizione oltre ai dipinti espone diverse sculture di Miró.