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Pietro Roccasalva, cavalcando il malinteso

Visitando la mostra ‘Chi è che ride’ dell’artista italiano Pietro Roccasalva, dal 18 settembre alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati

Pietro Roccasalva From JMM (2022) - Acrilico su tela su pannello 60 x 133.5 cm
(Agostino Osio)
16 settembre 2022
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‘Chi è che ride chi’: il titolo della mostra – corroborato dalla ripetizione del pronome indefinito – si staglia davanti al visitatore in un’enorme scritta al neon in corsivo. Questo il «ritornello», come lo definisce l’artista, che l’ha accompagnato, quasi perseguitandolo, dal momento in cui ha letto questa frase in una vecchia edizione del Bafometto di Pierre Klossowski (1965). Nel testo non è che un malinteso, si tratta infatti della resa onomatopeica del canto del gallo, la cui effige, tra l’altro, si ritrova fiera sulla copertina del catalogo della mostra. Un ritornello, qualcosa cioè di ripetuto, di circolare. Tant’è che nella scritta luminescente il secondo «chi» va a sovrapporsi al primo, con fare al contempo ciclico e autoriflessivo.

A palesare il rapporto con la propria fonte, in particolare con il canto del gallo, è la scritta stessa, il fatto che sia di colore nero e che tuttavia riluca perché composta di neon. Come il verso dell’animale, che lacera il silenzio della notte preannunciando l’alba e l’arrivo del giorno, sintetizzano quindi l’antitesi tra buio e luce; così anche il ritornello nero brilla di luce bianca, come un giorno che nasce. Questo ‘Chi è che ride chi’ diventa dunque un modo di affrontare il caos dell’esistenza quotidiana. «Una volta assodato che si tratti di un malinteso, va bene. La speranza arriva soltanto con il malinteso, e lo si deve cavalcare», commenta l’artista Pietro Roccasalva.

«Pietro Roccasalva è oggi una delle colonne portanti dell’arte italiana ed europea» introduce la collezionista Danna Olgiati. «L’idea alla base di questa mostra nasce dalla volontà di festeggiare il primo decennale di attività di questo spazio con un artista che entrasse nelle radici della collezione». Giancarlo Olgiati precisa: «È fondamentale che si crei un polo a sud delle Alpi in grado di promuovere l’arte italiana. D’altronde l’asse Basilea-Zurigo guarda alla Germania, l’asse Ginevra-Losanna guarda alla Francia; noi dobbiamo guardare all’Italia e al mondo». Secondo il collezionista, Roccasalva «rappresenta l’espressione più interessante del ritorno alla pittura, perché alla capacità di essere un grande pittore combina un approccio squisitamente concettuale, ricavando un momento di assoluta novità».

Dopo aver indugiato sulla scritta che l’ha accolto, il visitatore si ritrova immerso in una mostra densa, complessa e per molti aspetti inusuale. Come sostiene efficacemente la storica Flavia Frigeri, autrice peraltro del testo Affinità, immagini e scivolamenti riportato sul catalogo della mostra: «L’incontro con l’opera di Pietro Roccasalva è differente. Non si svolge, come pressoché con qualunque altro artista, con l’individuazione di temi specifici e di una cronologia lineare. Bensì, è come interfacciarsi con una cipolla, si procede a strati, dove visioni, immagini e motivi vengono ogni volta filtrati e distillati in una nuova prospettiva e secondo un’idea diversa». Il passaggio tra uno strato e l’altro all’interno dell’opera di Roccasalva è riassunto nel saggio della storica dell’arte con il termine inglese «slippage» tradotto in «scivolamento».

Sulle tele dell’artista, il visitatore ritrova infatti una molteplicità di strati e di relativi riferimenti. Questi sono di vario genere e rappresentano il condensarsi, o, meglio, il palesarsi sulle tele del vissuto e dell’esperienza culturale di Roccasalva, arrivando perfino ad attingere a ricordi d’infanzia.

Quando ci si sofferma ad ammirare il gruppo di opere tratto dal ciclo Just Married Machine #1, un tableau vivant in cui una coppia di sposi è circondata da oggetti di varia natura e dall’elevato valore simbolico; lo spettatore si ritrova immerso con i coniugi in una stratificazione impressionante di citazioni (che spaziano dalla Ricotta di Pasolini a una racchetta le cui code disegnano la pavimentazione della Piazza del Campidoglio progettata da Michelangelo). La presenza di elementi evocativi della natura morta in commistione alla coppia di sposi, vuole fungere da revitalizzazione della stasi che caratterizza appunto i tableau vivants.

Alcuni degli oggetti presenti nella raffigurazione sono parte di altri lavori di Roccasalva o addirittura sono stati antecedentemente realizzati in sculture, al fine di essere dipinti. L’artista ama servirsi di altri media per realizzare le proprie opere, pur mantenendo l’idea che questi stadi altro non sono che fasi transitorie precedenti la raffigurazione su tela, la pittura. Ecco dunque che lo spettatore, dopo averla vista raffigurata in Just Married Machine #1, ritrova nel prosieguo della mostra una gigantesca statua rappresentante una testa d’aglio sezionata composta da sanitari (si palesa anche qui il dialogo con altri artisti e altre epoche). Di nuovo dunque, in forma differente, emerge con forza lo slippage nell’enorme stratificazione dell’opera di Roccasalva evidenziato da Flavia Frigeri.

Misurando con passi assorti lo spazio espositivo, il visitatore si imbatte poi in una serie di dipinti monocromi, che rappresentano al contempo delle imprimiture (ovvero il primo strato di un dipinto in fieri) e dei d’après di alcuni celebri quadri futuristi di cui sono state mescolate tutte le tonalità, realizzati con una forte carica simbolica e con allusione al mito di Icaro.

In seguito, il confronto con la cattedrale raffigurata in Giocondità (le cui forme si ritroveranno nel Traviatore) e con il sole. L’astro ritorna anche nell’ultima opera della mostra, Fanfaro, in cui Varano regge un arancino (il visitatore sarà attirato dal suo profumo, poiché si tratta di un vero e proprio spuntino siciliano) che appunto rappresenta un sole morto. Un bambino accovacciato cerca di mordere la coda del rettile, rovesciando l’iconografia di Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio.

La potenza e la ricchezza del lavoro di Pietro Roccasalva è sorprendente. Il suo rapporto con l’immagine e il modo in cui se ne serve, affascina e confonde il visitatore, invitandolo a intraprendere una serie di percorsi interpretativi talvolta tortuosi talaltra ciechi, ma sempre affascinanti. Una mostra di spessore, che, come nell’augurio di Giancarlo Olgiati, guarda all’arte italiana, ma con profondo respiro internazionale.