Nata a Zurigo nel ’47, di ceppo jenisch e per questo internata, la scrittrice e poetessa aveva 74 anni
Spesso canta il lupo nel mio sangue/ e allora l’anima mia si apre/ in una lingua straniera.// Luce, dico allora, luce di lupo,/ dico, e che non venga nessuno/ a tagliarmi i capelli. I versi sono della poetessa e scrittrice svizzera Mariella Mehr morta ieri all’età di 74 anni (lirica tratta dalla raccolta ‘Ognuno incatenato alla sua ora’ a cura di Anna Ruchat, edito da Einaudi nel 2014).
Nata a Zurigo da una famiglia zingara di ceppo jenisch nel 1947, l’opera di Mariella Mehr è visceralmente legata al suo vissuto biografico: da bambina fu sottratta alla famiglia per essere introdotta nel programma Pro Juventute ‘figlio della strada’, in vigore dal 1927 al 1972. Fra le pagine più scure della storia svizzera, in quel frangente la giovane Mariella subì internamento, stupri, elettroshock. Diciottenne, dopo aver avuto un figlio che le è stato tolto, venne sterilizzata forzatamente.
Il suo primo romanzo lo ha pubblicato nel 1981: ‘Steinzeit’, apparso in traduzione italiana (Guaraldi, 1995), insieme a ‘Il marchio’ (Tufani, 2001), ‘Labambina’ (Effigie, 2006) e ‘Accusata’ (Effigie, 2008) oltre a diverse raccolte poetiche.
Sono diversi i riconoscimenti che le sono stati attribuiti, tra cui nel 1998 un dottorato honoris causa dall’Università di Basilea per il suo lavoro di scrittrice e il suo impegno politico; nel 2012 il prestigioso Premio ProLitteris per l’insieme della sua opera e nel 2016 il Premio letterario grigione. Nel 2018 ha ottenuto il Premio Anna Göldi per i diritti umani.