Fino al 25 aprile il museo di Rancate tra naturalisti, geografi e artisti nel Ticino del passato prossimo
Che cosa è il paesaggio? Si potrebbe parafrasare Agostino d’Ippona è rispondere che “se non mi chiedono che cosa sia, lo so; se me lo chiedono non lo so”. È un concetto complesso, che rimanda allo studio scientifico del territorio nei suoi aspetti naturalistici, geografici e culturali, alla percezione dello spazio, all’arte. Parte da questa stratificazione di significati la Pinacoteca Giovanni Züst di Rancate per presentare la mostra ‘L’incanto del paesaggio’, come indicano i due sottotitoli: “Disegno, arte, tecnologia” e “Naturalisti, geografi, storici dell’arte nel Ticino del passato prossimo”. A curare questo progetto che sarà visitabile fino al 25 aprile 2022, il geografo Paolo Crivelli, lo storico dell’arte Giulio Foletti e Filippo Rampazzi, direttore del Museo cantonale di storia naturale di Lugano.
Si parte, a metà dell’Ottocento, con le carte topografiche Dufour e Siegfried, allestite partendo da accurate, e spesso faticose, misurazioni sul terreno. Altra tappa fondamentale è la prima catalogazione dei monumenti più significativi, realizzata sotto l’impulso del padre della storiografia artistica elvetica Johann Rudolf Rahn (1841-1912). A Rancate troviamo serie di disegni del suo allievo e aiutante Hermann Fietz (1869-1931) la cui attenzione non si è limitata ai monumenti maggiori, ma ha guardato anche al contesto e al paesaggio che li conteneva. Nello stesso periodo lavorarono i primi naturalisti, tra cui Luigi Lavizzari (1814-1875) al quale si deve il Museo di storia naturale di Lugano. Negli spazi della pinacoteca troviamo così tavole acquerellate che illustrano flora e fauna, erbari, fossili, curiosi strumenti per lo studio dei reperti. In mostra, oltre a carte, disegni, panorami e strumenti del passato anche uno sguardo sul presente e il futuro, con l’impiego di tecnologie come il rilevamento fotogrammetrico, il Laser scanner e i droni.
Questo sguardo più “oggettivo” si interseca con quello dell’arte, in un dialogo tra i materiali elaborati da naturalisti, geografi e fotografi e i dipinti di vari artisti, da nomi noti come quelli di Luigi Rossi, Edoardo Berta, Filippo Franzoni e Ugo Zaccheo a figure forse meno conosciute come Remo Patocchi, Regina Conti o Emilio Maccagni (uno degli intenti della mostra è proprio dare spazio ad autori poco studiati e a volte quasi dimenticati). Il consolidamento di una scena artistica ticinese – è in questo periodo che nascono la Società ticinese per le Belle Arti (1889), la Società dei pittori e scultori svizzeri (1896) e la Società ticinese per la conservazione delle bellezze naturali e artistiche (1909) – si unisce infatti a una riscoperta del territorio, esplorato e raffigurato per cercare una dimensione artistica propria e identitaria, oltre che per vendere le opere ai primi facoltosi turisti. È la costruzione di una certa idea di Ticino, partendo da alcuni elementi caratteristici del paesaggio: il bosco e la selva castanile, il vigneto, il territorio alpino e glaciale, il lago. Alla costruzione di questa immagine del Ticino parteciparono ovviamente anche i fotografi che sempre a partire dalla seconda metà dell’Ottocento si stabilirono nei maggiori centri cittadini.