FuckUp Night: sette minuti per raccontare quello che di solito non si ammette, il fallimento
“Se qualcosa può andar male, lo farà” recita la celebre legge di Murphy, resa popolare dall’umorista statunitense Arthur Bloch ma in realtà antica quanto l’umanità. Siamo esseri fallibili e la realtà è sempre pronta a sorprenderci e a smentire progetti e aspettative – i famosi imprevisti che uno dovrebbe prevedere, ma del resto se li hanno chiamati imprevisti un motivo ci sarà.
Insomma, assodato che l’unico modo per non sbagliare è non far nulla, il problema diventa come affrontiamo gli errori. E, per proseguire con gli aforismi, il segreto è certamente dare la colpa a qualcun altro. Già, perché l’errore è una colpa, una cosa se non proprio da punire, quantomeno da biasimare. E quindi, se possibile, da nascondere: ho sbagliato, speriamo che nessuno se ne sia accorto.
Lo psicologo britannico Richard Wiseman ha recentemente pubblicato un libro sulla “mentalità Apollo” (‘Volere la Luna’, pubblicato in italiano da Codice edizioni), per indagare le ragioni psicologiche che hanno portato gli Stati Uniti, nel giro di poco più di un decennio, dal far esplodere i razzi in mondovisione (il Vanguard TV-3, ribattezzato dalla stampa ‘Kaputnik’, saltato per aria nel dicembre del 1957) al primo uomo Luna (Neil Armstrong nel luglio del 1969). Tra gli otto principi trovati da Wiseman, uno è proprio dedicato agli errori: una missione di addestramento fallì a causa di alcuni calcoli sbagliati. I tre responsabili furono chiamati; due cercarono scuse mentre il terzo, Jerry Bostick, ammise subito l’errore. I due vennero cacciati dalla sala controllo, Bostick rimase: tutti avevano sbagliato, ma solo lui aveva ammesso l’errore.
Ovviamente non basta riconoscere e discutere i propri errori, per andare sulla Luna – a questo la Nasa ha dovuto aggiungere qualcosa come 25 miliardi di dollari. Ma è stato uno dei piccoli passi che ha permesso quel grande balzo per l’umanità. Come ha ricordato il direttore di volo Chris Kraft, citato nel libro di Wiseman: “Non ci imbarazzava farci prendere in giro quando facevamo un errore: voglio dire, ne facevamo centinaia ma eravamo abituati a essere sinceri”.
E sinceri sono gli ospiti – chiamarli relatori non rende l’idea dell’atmosfera molto libera degli incontri – delle FuckUp Night, pronti a raccontare e discutere non i propri successi, ma i propri fallimenti professionali (quelli personali sarebbe un capitolo troppo ampio e delicato). L’iniziativa è nata in Messico nel 2012 e si è diffusa un po’ ovunque, compresa la Svizzera italiana dove l’ultima “serata di fallimenti” si è tenuta nelle scorse settimane nello Spazio 1929 di Lugano. «Dico sempre che ho avuto due startup e poi una carriera di sette anni in Airbnb, ma in realtà le startup sono state tre, solo che una non ha funzionato ma non ne parlo mai» ha spiegato l’imprenditore Andrea La Mesa, uno degli ospiti che in sette minuti – il tempo previsto per ogni ospite, più la discussione col pubblico – ha raccontato quello che di solito non racconta: il fallimento del suo primo progetto. Perché? Fondamentalmente perché è arrivato Facebook – la sua startup era un sito per tenere le persone in contatto, simile all’adesso popolare social network – ma i motivi sono forse altri: la mancanza di un modello al quale guardare e la paura di osare un salto di qualità che (chissà!) forse avrebbe permesso a quell’iniziativa locale di resistere e svilupparsi.
Altro fallimento della serata, un interessante progetto di ‘empowerment femminile’ presentato dalla visual designer e improvvisatrice teatrale Elena Lah: “WonderFULL Women” esiste ancora, ma il taccuino creativo per migliorare sé stesse non ha raccolto online abbastanza soldi per essere stampato. Così, nonostante un inizio di raccolta fondi promettente, il progetto è fallito. Perché? Problemi di comunicazione, forse, o forse il progetto era troppo complesso per essere il punto di partenza: troppo concentrati sul singolo prodotto, non abbastanza sul resto del progetto.
E poi c’è stata la “mostra fallita”, raccontata dal grafico e artista Sergio Muratore. Fallita perché all’ultimo momento il fotografo, nonostante le rassicurazioni e l’interesse, ha deciso non solo di non venire a presentare il suo lavoro, ma neanche di mandare le sue opere. E questo poco prima dell’inaugurazione, con accordi già presi con gli sponsor e un catalogo in preparazione… Si è detto fallimento, ma in realtà c’è un lieto fine: l’esposizione si è tenuta lo stesso, incorniciando invece delle opere lo scambio di email e chat avute con l’artista. Una dimostrazione di come i fallimenti possano diventare, se non successi, quantomeno occasioni per mettere alla prova la propria creatività.
Questi i tre fallimenti dell’ultima FuckUp Night. Ma al cuore dell’iniziativa c’è innanzitutto la voglia di raccontare e di discutere, senza venir giudicati per gli errori fatti. «Ci presentiamo tutti come perfetti e competenti, dimenticando il percorso che c’è stato per arrivare ai nostri successi e mettendo sotto il tappeto quello che non siamo riusciti a fare» ha spiegato la “padrona di casa” Romina Henle. Attiva nel settore della consulenza e del coaching, quando ha sentito parlare di questa iniziativa si è subito attivata per portarla anche in Ticino. Perché non si tratta solo di ammettere i propri sbagli, ma di condividerli. «Credo sia importante avere la possibilità di lasciarsi ispirare da quello che gli altri hanno fatto: anche da quello che gli altri hanno fatto di sbagliato» ha aggiunto Romina Henle. E il pubblico, all’ultima serata, non mancava, con anche alcuni giovani.
Come trovare persone che non solo abbiano “fallimenti interessanti”, ma che siano anche disposti a parlarne? «All’inizio – ha risposto Romina Henle – è stato difficile e ho dovuto ricorrere ai miei contatti, poi l’interesse si è sviluppato e adesso ho già una lista d’attesa per i prossimi incontri…». Per scoprire quando, si può andare sul sito fuckupnights.com.