Presentato ieri alle scuole medie di Caslano 'Il Bestiario' di Pierre Casè. L'autore ce lo racconta.
Tavola 1: “Il Bestiario”. Gli occhi corrono sulla superficie rugosa; di primo acchito sembra una tavola d’atlante zoologico. A ben guardare, le figurine zoomorfe “crocifisse” con chiodi descrivono un mondo vicino geograficamente ma lontano nel tempo: sono «quelle bestie di cui avevamo bisogno e che hanno avuto bisogno di noi». L’opera è dell’artista locarnese Pierre Casè. Si tratta di una scultura, un bassorilievo su lastra di metallo ossidato, con una composizione apparentemente lineare. Sui nove registri incontriamo ovini, suini, equini, ma anche animali selvatici come cervi, caprioli e stambecchi, ma anche lupi (che si accompagnano a domesticissimi bassotti), intagliati anche loro in lamine arrugginite. A colpire, sono soprattutto i colori rugginosi dei vari elementi che si confondono o contrastano fra loro. L’ossidazione del metallo crea una paletta molto variata di tonalità e sfumature terrose, arricchita dalle lievi increspature che il tempo scalfisce sul metallo, «un materiale che vive», chiarisce Casè. La descrizione dell’opera non ha nessuna presunzione di completezza né, tantomeno, di didascalica interpretazione. Ma perché ci interessiamo a questo lavoro di medio-grande formato?
«Un’opera in mezzo ai giovani», ha esclamato Pierre Casè in occasione della presentazione di ieri del suo “Bestiario”, collocato nella biblioteca delle scuole medie di Caslano e facente parte della collezione d’arte cantonale. La scelta dell’ubicazione non è affatto casuale, come è stato spiegato. La biblioteca non è luogo di passaggio, ma spazio di stasi e riflessione, dove i ragazzi – fra una lettura e un ripasso – possono osservare l’opera con calma e leggerla con i propri occhi, dandone ogni volta una chiave interpretativa diversa e personale. Nel raccontare l’opera esposta, Casè spiega che ha sempre lavorato per temi – quello affisso alla parete dell’istituto è l’atto conclusivo di un ciclo (2014-2015) presentato alcuni anni fa ai Magazzini del sale di Venezia – e «ogni opera è un tassello di ciò che ho vissuto e vivo». Ma, soprattutto, è emerso dal suo discorso – anzi no, lo ha esplicitato – di essere contento, da 60 anni a questa parte, di «aver scelto un mestiere creativo: tutti i giorni mi diverto, perché sono confrontato con l’invenzione». E poi chiosa: «Potrei stare qui ore a raccontare, a giustificare il mio dire artistico. Sono sempre più convinto, però, che di fronte a un’opera, tutto è molto soggettivo. Se vi dà un pugno in pancia, vuol dire che ha trasmesso qualcosa».
Dopo il suo intervento, prendiamo Casè in ostaggio per tre minuti per porgli un paio di domande: ne esce una “Blitzinterview”, rapidissima e illuminante.
Dal 2001, Pierre Casè ha deciso di dedicare tutto il suo tempo all’arte, «il mio vero mestiere e non me ne sono mai pentito». Una decisione, racconta, maturata dopo un ictus. Precedentemente, le attività svolte in parallelo alla creazione artistica sono state diverse, fra cui l’insegnamento allo Csia e la direzione artistica alla Pinacoteca Casa Rusca di Locarno. «Pur vivendo nel Bengodi, come si dice, conosco pochissimi colleghi che hanno potuto vivere solo del nostro mestiere. Quindi ho sempre dovuto fare due professioni» (chiedendoci di non ridere, svela che le prime due sono state il gelataio e il marronaio).
Con il suo lavoro, l’artista mira a «testimoniare il mio vissuto: dove abito, il mio paesaggio, la mia gente e il mio vivere in valle [la Vallemaggia, ndr]». E lo fa usando materiali naturali raccolti nei suoi luoghi: in tanti anni di lavoro, «non ho mai comperato un tubo di colore già fatto», racconta. I materiali delle sue opere sono «legati soprattutto alla mia infanzia, che raccontano il mio vissuto». Una produzione definita “materica”, partendo proprio dai mezzi usati e i luoghi che racconta sono fatti propri anche dalla manualità del gesto, che lo carica ulteriormente di senso.
Laconicamente, poiché lo spazio è esiguo. Pierre Casè nasce a Locarno nel febbraio del 1944. Da tempo, vive e lavora a Maggia (dai luoghi di valle e dalla sua storia trae ispirazione). Dal 2001 – dopo numerose attività svolte in parallelo –, l’artista decide di rivolgere la sua attenzione alla sola produzione artistica. Consigliamo di spulciare il suo sito: www.pierrecase.ch.
È scritto nella legge. O quanto meno auspicato dalla legge sulla cultura, documento in cui si ritrova l’obbligo per lo Stato di destinare spazio all’arte in luoghi pubblici, come ci ha spiegato ieri, a margine della presentazione, Raffaella Castagnola Rossini, direttrice della Divisione della cultura e degli studi universitari (Dcsu), presente a Caslano insieme al consigliere di Stato Emanuele Bertoli, nonché direttore del Decs. Con loro, ha partecipato anche la direttrice dell’Ufficio dell’insegnamento medio, Tiziana Zaninelli.
Lo si è scritto poche righe sopra, ma ribadiamo ancora quanto spiegatoci dalla direttrice della Dcsu, cui abbiamo chiesto dove nascesse l’iniziativa di esporre opere d’arte in luoghi pubblici: «Di per sé è nella legge. Quando un nuovo edificio pubblico viene costruito, bisognerebbe già pensare a un’opera d’arte da inserire in quello spazio (una realizzazione ex novo). In questo caso abbiamo lavorato diversamente»: nella nuova costruzione pubblica si è collocata un’opera di un artista locale, appartenente alla collezione dello Stato, valorizzandoli. La collezione d’arte cantonale, lo ricordiamo, periodicamente è ampliata grazie ad acquisizioni e donazioni. Nel caso in cui le opere non siano realizzate ex novo, il corpus da cui si attinge è proprio la suddetta collezione. I criteri per la selezione sono vari e dipendono dal luogo in cui verranno allestite, così come dai fruitori. Ad esempio, nel caso della biblioteca della scuola media di Caslano, “Il Bestiario” di Pierre Casè risponde a criteri spaziali (quindi le dimensioni) e di idoneità: pensando al contesto scolastico e agli allievi.
L’arricchimento degli spazi pubblici con opere d’arte, quindi non solo degli istituti scolastici, è volto altresì a scoccare la scintilla della «riflessione sulla creatività. Lo spazio pubblico non è solo un luogo di transito. Può essere anche un luogo dove ci si sofferma a riflettere [come nel caso della biblioteca di Caslano, ndr]. A fare andare la mente altrove...». Per la direttrice significative sono quelle opere che danno spazio alla discussione, fanno viaggiare la mente e chissà magari aprire porte al futuro.