(Interno giorno, piano terra, finestre aperte e un filo di vento. Con criteri di pura fantasia telefonica, il luogo ce lo immaginiamo così). «Allora: ”Tempo da elfi” è un giallo. Un giallo pieno di boschi, dove... (rumori indistinguibili) mi scusi, mi dia un attimo che devo cibare un gatto, un attimo solo...» (la 'r' di 'cibare' ci dice che parliamo con l'originale). Mezzogiorno dev'essere ora di pranzo anche per i felini. Almeno a Pàvana, in provincia di Pistoia. Il cantautore Francesco Guccini, anzi, lo scrittore Francesco Guccini si allontana dalla cornetta e per una manciata di secondi si occupa di un gatto dell'Appennino che reclama un pasto. Poi, torna per riprendere il filo: «Mi scusi, è arrivato un gatto affamato...».
Maestrone sì, maestro no («No, no, per l'amor di Dio...»), l'uomo non è di quelli che passati i 70 anni iniziano a vestirsi con lunghe vestaglie bianche proferendo verità, benché la sua fuga dalla pazza folla abbia lievi risvolti d'ascetismo. La voce arriva da un telefono fisso, perché – è noto – il cellulare è un oggetto a lui estraneo come la licenza di condurre autoveicoli. A che serve, in fondo, un cercapersone in un paesino dove le persone sono appena 300. «È un giallo d'Appennino – racconta Guccini – ci sono questi elfi che sono arrivati ad abitare dei complessi di case abbandonate dai vecchi proprietari, tutti emigrati. Uno di questi elfi viene trovato morto e per l'ispettore della forestale iniziano le indagini». L'ispettore in questione è Marco Gherardini detto Poiana, testualmente “32 anni, per ora ispettore della forestale. Poi, chissà”. Quel “Poi, chissà” riguarda il suo futuro, a un passo dall'essere inglobato nell'Arma dei Carabinieri (la fusione tra forestale e carabinieri è realtà dal gennaio di quest'anno).
Guccini è di casa in Svizzera. Ci tornerà il prossimo 7 ottobre per presentare questo nuovo capitolo scritto con Loriano Macchiavelli, nome di spicco del noir italiano, certificando un sodalizio iniziato nel 1997 con “Macaroni”. Del suo “Tempo da Elfi”, Guccini parlerà a Lugano con Gabriella Fenocchio, all'interno di “Scritti & Musica al Ciani” (nella Villa ex Asilo) dalle 17.15. «A Pasqua sono stato a Sion. Ho ricordi piacevoli di Ginevra e Zurigo, quando suonavo. E anche del Ticino». Questione di montagne? «Sì, anche, ma le vostre sono più alte». Vent'anni di collaborazione sono tanti, gli facciamo notare. Nemmeno Lennon e McCartney. «Non lo so, forse con questo romanzo smettiamo, forse no». L'autore di canzoni che raramente firmava in coppia, scrive invece amabilmente a quattro mani con l'amico Loriano. «La nostra collaborazione è nata molto casualmente e adesso ci ritroviamo con 8 libri scritti insieme, 5 dei quali hanno come protagonista il Maresciallo dei Carabinieri Santovito e 3 l'ispettore della forestale. Adesso che hanno unito la forestale ai carabinieri, i protagonisti sono praticamente tutti della forestale. O tutti dei carabinieri, faccia lei...». Quanto alle modalità di scrittura, «C'è grande libertà d'azione. Io e Loriano stabiliamo una trama e un'ambientazione, almeno grossomodo. Poi ci dividiamo i compiti, generalmente per capitoli. Ci vediamo di persona, ce li scambiamo, ognuno corregge quello che ha scritto l'altro e procediamo. Io non ho la patente, Loriano invece sì, e viene a trovarmi a casa. Abitiamo a un'ora di distanza».
L'occasione ci porta a chiedergli di musica, ma la musica sembra l'ultima delle cose di cui il nostro interlocutore abbia voglia di parlare. «Ogni tanto vado in giro a fare presentazioni di libri, ma senza cantare. Non sento la mancanza del concerto». Anche il suo andare in giro è centellinato, e Lugano è un piccolo miracolo. Tra le “andate in giro” più recenti, l'incontro dell'Arcimboldi dello scorso febbraio condotto dal Bertoncelli de “L'avvelenata”, critico musicale inserito in quel “vaffa” generale del 1976 (più tardi, la pace). Chiediamo a Guccini se la critica musicale conti ancora qualcosa, e se un “rompiballe” possa spiegare meglio degli uffici stampa cosa è fantastico e cosa meno. «Il rompiballe è sempre utile», dice sorridendo. «In quel caso specifico, però, io non me la presi per la critica. Le critiche vanno accettate tutte, un disco può non piacere e buonasera. Un critico non è mica obbligato a farselo piacere un disco. E lo stesso vale per un libro. Ma in quell'occasione si andò in maniera laterale, si dissero delle cose al di là del fatto che il disco fosse bello oppure no».
Poca, o controllata, la nostalgia del tempo che fu. Ancora meno per i luoghi che furono. Nemmeno ora che la Universal sta per pubblicare un live con registrazioni inedite dell’Osteria delle Dame di Bologna, conservate dal fonico dello storico locale fondato dallo stesso cantautore nel 1970. Nemmeno ora che l'Osteria stessa – felice combinazione – riapre. Di quella “Parigi minore”, oggi il cantautore conferma di come fosse «bellissima, certo, ma erano belli anche gli anni, anagraficamente. E quelli non ci sono più, sono anni irrecuperabili. Mi capita ogni tanto di tornarci a Bologna, o di andare a Milano, a Roma, e mi succede di stare male. Troppo traffico, troppa confusione, troppo fumo».
I calciatori che hanno appeso le scarpe al chiodo, se li inviti in spiaggia per una partitella, ti menano sempre come fosse una finale. È la deformazione professionale, il fuoco sacro che non si spegne mai. Per Guccini, invece, pare che “L'ultima Thule” sia davvero l'ultima. «Ho le chitarre messe in un angolo, non le tocco nemmeno. Non ho più nessuna voglia del palco, sto bene qui. Sono tornato da dove sono partito, come i marinai che girano il mondo e tornano sempre al porto dal quale sono salpati». Le ultime parole le pronuncia l'abitante dell'Appennino, e se questa fosse una videochiamata (il condizionale è rubato ad altro giallista), sapremmo quale espressione ha la libertà: «Dovrebbe vedere, oggi qui è una giornata splendida, c'è un sole meraviglioso. E si comincia a fare i funghi...».