Culture

Un gentleman al pianoforte

30 giugno 2017
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C’è un inglese a New Orleans
Il pianista inglese Jon Cleary, tra i più grandi artisti della scena musicale di New Orleans, presenterà a JazzAscona stasera e domani il suo ultimo album, premiato con un Grammy.

Che ricordi ha di JazzAscona?

Ascona è un luogo fantastico. Penso che sia meraviglioso che un festival che si tiene tanto lontano da New Orleans sia così indissolubilmente legato alla Crescent City, città che mi ha adottato molti anni fa. Proprio per questa vicinanza molti miei amici tornano spesso qui.

Che cosa l’ha spinta, a 18 anni, a spostarsi dall’Inghilterra a New Orleans?

La musica. Solo la musica. Ho voluto scoprire da dove si sprigionavano i ritmi che tanto mi piacevano e imparare a suonarli. Da ragazzo ho sentito la necessità di partire, per ascoltare le leggende che avevano inventato il jazz e sperimentare dal vivo i fantastici musicisti blues, soul e R&B che negli anni 50 e 60 avevano registrato dischi all’avanguardia.

Dal suo punto di vista cosa rende le vibrazioni di New Orleans speciali?

La musica tradizionale di New Orleans rende sempre felice il pubblico. Chi l’ascolta – ad Ascona, Tokyo, San Paolo o New Orleans – si sente felice. Infatti viene suonata ancora oggi a distanza di 100 anni dalla sua nascita.

Che ricordo ha di Katrina?

Ognuno di noi ne è stato colpito. Durante l’uragano, la zona dove si trovava la mia casa si è allagata e ha subìto danni ingenti. Sono stato in tour per due mesi e poi un po’ ovunque, perché non potevo tornare. C’era una sorta di occupazione militare della guardia nazionale. Ma è stato 12 anni fa. La gente di New Orleans sta solo cercando di dimenticare. E lo sta facendo nella maniera giusta.

Quanto tempo le è servito per sentirsi a casa a New Orleans?

Neanche un minuto! Le persone sono state fin da subito gentili con me. Avevo un gran rispetto per i musicisti, per questo non ho voluto esibirmi subito. Non prima di avere un’idea su come fare. Inizialmente vivevo solo grazie ai miei vari lavori come carpentiere e barista.

Come si impara a suonare la black music?

Per due anni ho studiato le competenze di base e i mostri sacri, compravo dischi e passavo ore a esercitarmi sul mio pianoforte. Poi, una notte, James Booker, il pianista blues del bar dove lavoravo, non si presentò. Così il proprietario mi disse di rimpiazzarlo e per la prima volta mi sono esibito a New Orleans.

Poi ha suonato per star del calibro di B.B. King, Bonnie Raitt, Taj Mahal o Eric Burdon. Chi l’ha colpita di più?

Dischi e tour mi hanno reso celebre e il divertimento non è mai mancato, ma le collaborazioni che più mi hanno influenzato sono state con artisti forse meno conosciuti ma validissimi, come Earl King, Johnny Adams e Walter Washington.

Come l’ha cambiata il Grammy dell’anno scorso per ‘Go Go Juice,’ quale Best Regional Roots Music Album?

Certo, ci sono state persone che grazie a questo riconoscimento si sono incuriosite alla mia musica, ma altrimenti non c’è stata alcuna differenza degna di nota.

In programma c’è un nuovo album. Si aprono nuove porte in questo senso?

È tutto da vedere. La mia musica non è commerciale, quindi le case discografiche non si fanno la guerra per farmi firmare un contratto. Con l’avvento di internet, la situazione nel settore musicale è diventata ancora più difficile. Però in tutto ciò io vedo l’opportunità di comunicare direttamente con i fan di tutto il mondo. È già possibile acquistare l’album prima che venga registrato. Ho pure il mio sito internet (www.joncleary.com), creato apposta come campagna di raccolta fondi, con la speranza che tramite la vendita di “Live at Chickie Wah Wah”, che è la registrazione di due concerti da solista, si possa finanziare la costosa produzione in studio.