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‘Si mettano le pensioni al primo posto, non il risanamento’

ErreDiPi chiede un cambio di rotta: remunerazioni al 4 per cento. ‘Rendite dignitose devono avere la precedenza’. Il Cda ne discuterà a breve

In sintesi:
  • A decidere sul tasso di remunerazione sarà, come ogni anno, il Cda della cassa che gestisce la previdenza professionale di circa 17mila affiliati attivi
  • Per il Cda di Ipct rinnovato lo scorso maggio (con l’entrata di ErreDiPi) si annuncia una riunione dibattuta
Paolo Galbiati, membro del comitato della Rete a difesa delle pensioni
(Ti-Press)
20 novembre 2024
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Lasciare più soldi agli assicurati e ai loro averi di vecchiaia. Perché sì, risanare la cassa è importante, ma lo è di più garantire pensioni dignitose agli affiliati. È un messaggio chiaro quello che lancia ErreDiPi in vista della prossima riunione del Consiglio di amministrazione della’Ipct, la cassa pensioni dei dipendenti pubblici e parapubblici. «Dal 2013 a oggi l’Ipct ha realizzato un rendimento sul capitale del 3,63 per cento su base annua. Agli affiliati attivi, però, è stato riconosciuto in media circa un terzo di questa cifra: l’1,33 per cento. Pressoché il minimo previsto dalla legge». Per Paolo Galbiati, membro del comitato della Rete per la difesa delle pensioni, «è ora di invertire questa tendenza». A decidere sul tasso di remunerazione sarà, come ogni anno, il Cda della cassa che gestisce la previdenza professionale di circa 17mila affiliati attivi. Consiglio di amministrazione – composto da dieci membri, cinque in rappresentanza del personale e altrettanti del datore di lavoro – all’interno del quale siedono anche tre rappresentanti di ErreDiPi.

La richiesta è chiara: portare la remunerazione degli averi di vecchiaia al 4 per cento. «Si tratta della cifra che era stata promessa dal Cantone nel 2012, al momento dell’ultima riforma. In una lettera firmata dall’allora consigliera di Stato Laura Sadis si affermava, nero su bianco, che in dieci anni la remunerazione sarebbe arrivata al 4 per cento. Ecco, dieci anni sono passati ed è ora di mantenere le promesse. Anche perché – sottolinea Galbiati – i dati dimostrano che una remunerazioni di questa portata è assolutamente sostenibile». Certo, ma questo andrebbe a scapito del risanamento della cassa, che ha 8 miliardi di passivo da remunerare. Parte del rendimento è infatti utilizzato a questo scopo e al raggiungimento del grado di copertura dell’85 per cento entro il 2051. Replica Galbiati: «Trattenere per risanare la cassa, per quanto fatto in buona fede, dal nostro punto di vista pone delle priorità sbagliate. La cassa è fatta per gestire capitale e rendite, non ha quindi senso subordinare queste ultime al benessere della cassa. Sono capitale e rendite a cui bisogna dare la priorità. Chiediamo qualcosa che per noi è ragionevole. Certamente bisogna riconoscere qualcosa alla cassa, ma non nella misura che si ha avuto finora e che si intende avere anche nei prossimi anni».

Insomma, per il Cda rinnovato lo scorso maggio (con appunto l’entrata di ErreDiPi) si annuncia una riunione dibattuta. «Immaginiamo che questa richiesta creerà una contrapposizione tra i nostri tre membri e gli altri – riconosce il rappresentante della Rete per la difesa delle pensioni –. Si tratta infatti di una proposta in rottura rispetto alla politica che per dieci anni il Cda, sia rappresentanti del datore che dei lavoratori, ha portato avanti e che ha innescato la nascita di ErreDiPi».

D’altra parte, riconosce Galbiati, «era proprio nell’intenzione di ErreDiPi portare un cambiamento, una discontinuità netta rispetto al passato. Sia nella forma, consultando e coinvolgendo di continuo gli affiliati, sia che nella sostanza, ovvero quando si tratta di prendere decisioni come ad esempio la riduzione del tasso di conversione. La vera discontinuità la vogliamo però portare nel modo di ragionare. Per dieci anni abbiamo avuto una remunerazione del capitale che era il minimo vitale. Una situazione che ci ha portato di fatto a perdere un terzo di quello che avremmo potuto avere con una rendita giusta come fanno le altre casse».

Dati alla mano per Alessandro Frigeri, pure lui membro del comitato della Rete, l'esempio è presto fatto. «In dodici anni la differenza che può generare una remunerazione di 1,33% rispetto a una del 4%, considerando uno stipendio assicurato di 60mila franchi annui e un avere accumulato di 180mila franchi per una persona di 46 anni, è di oltre 73mila franchi. Una cifra importante che, se il contesto non dovesse cambiare fino alla pensione, comporterebbe una pensione mensile di circa 500 franchi inferiore». Prosegue Frigeri: «Per noi è importante che il problema venga affrontato in maniera trasparente, attraverso un dibattito pubblico. Come non è invece successo finora se non in alcune circostanze. Lo ribadiamo, c’è stato uno scarto evidente tra i rendimenti medi della cassa, ovvero la capacità della cassa di far fruttare i nostri averi, e la remunerazione che poi è stata decisa di riconoscere agli affiliati. È questo il problema e l'oggetto della nostra richiesta».