La commissione parlamentare ‘Gestione e finanze’ a muso duro contro Ofima, che potrà godere di un aiuto cantonale per il restauro della sede di Locarno
Le Officine idroelettriche della Maggia non fanno nessun passo indietro. Nonostante i suoi azionisti nel 2023 abbiano raggiunto complessivamente un utile netto di 5,3 miliardi di franchi, l’Ofima ha deciso di non rinunciare alla richiesta di sussidio cantonale (1,5 milioni) per il restauro globale del suo palazzo amministrativo a Locarno. Sussidio al quale ha diritto in quanto l’edificio è un bene culturale di importanza cantonale ma che la commissione parlamentare ‘Gestione e finanze’ del Gran Consiglio invitava a non richiedere vista la difficile situazione delle finanze cantonali e la grandissima disponibilità economica di Ofima, in mano a giganti del settore energetico come Alpiq, Bkw e Axpo.
Niente da fare. Ofima ha deciso di andare avanti per la sua strada – spiegando che avrebbe rinunciato solo in cambio della rimozione dell’edificio dall’elenco dei beni protetti, un'iscrizione che avrebbe causato all’azienda una perdita economica in quanto pone delle limitazioni nello sfruttamento dell’edificio – e la commissione, con un rapporto di Fabrizio Sirica (Ps) sottoscritto dalla stragrande maggioranza dei commissari, si è così vista “costretta” a suggerire al Gran Consiglio di concedere il sussidio con un importo rivisto al ribasso: 510mila franchi. Invito a concedere un credito accompagnato da una serie di dure critiche alle Officine idroelettriche della Maggia.
"Osserviamo con rammarico che aziende che si sono nei decenni arricchite sfruttando una risorsa fondamentale del territorio ticinese, non abbiamo nella storia recente mostrato sensibilità né apertura al compromesso con le istituzioni cantonali, come dimostra anche la risposta alla richiesta di ritirare il sussidio”. Il riferimento è pure al ricorso al Tribunale amministrativo inoltrato dalle aziende contro l’aumento dei deflussi minimi deciso dal Cantone. “È desolante constatare come quell’atteggiamento di collaborazione auspicato da chi ci ha preceduto in parlamento, e che ha permesso la concessione di 80 anni dello sfruttamento delle acque ticinesi, abbia lasciato posto solo alla mera logica del profitto. Oggi – continua il rapporto – l’attuale Consiglio di amministrazione Ofima vede la protezione dell'edificio soltanto come un vincolo, come un’impossibilità di costruire una palazzina a sette piani e sfruttare fino in fondo non solo le acque, ma anche il giardino dello stabile locarnese. Si lamenta del fatto che un’aumentata protezione, a favore del bene comune, sia loro costata alcuni milioni in più. Milioni guadagnati con le nostre acque e sfruttando il nostro territorio”.
A chiarire chi è tenuto a pagare il restauro di un bene protetto è la Legge sui beni culturali, che stabilisce come la sua protezione sia un compito del proprietario, ma anche dello Stato. “Si tratta di un principio sorto anche a seguito di un approfondimento giuridico – chiarisce il rapporto di Sirica –, il rapporto afferma che di principio c’è uno spirito di cooperazione tra proprietario ed ente pubblico, determinando così che di principio un sussidio è dovuto”. Proponendo un sussidio inferiore alla richiesta, la commissione ricorda come il fondo destinato a questi aiuti sia stato ridotto del 20 per cento (da 13,7 a 10,7 milioni di franchi) come misura di risparmio. “Nella legge non vi è una soglia minima di aiuto – precisa il rapporto – ma è verosimile ritenere che un abbassamento dal 30 al 10 per cento dell’aliquota sia largamente tollerabile in termini di tenuta giuridica e all’interno del margine di ponderazione che il legislativo ha tra le sue facoltà”.
E la posizione di Ofima? A fine maggio i vertici dell’azienda sono stati sentiti in audizione dalla commissione. È stato fatto notare che la tutela ha precluso qualsiasi sfruttamento immobiliare dell’edificio e dell’intero sedime. Ofima si è quindi detta disponibile a rinunciare al sussidio cantonale a condizione che il fondo venga tolto dall’elenco dei beni culturali protetti. “Non è in nessun modo fattibile – la risposta secca dei commissari –, si snaturerebbe il fondamentale compito della Legge sui beni culturali. La proposta appare più come una provocazione che non un serio intendimento”.