Il presidente dell'Udc al Congresso: si assumono funzionari non per migliorare i servizi ma per garantirsi un elettorato, ecco perché l'iniziativa
Una buona strategia politica impone una percezione del tempo diversa da quella comune: certe scadenze non sono quindi lontane come da calendario. Lo sa bene l’Udc ticinese che nel 2027, al prossimo appuntamento con il rinnovo dei poteri cantonali, ambisce a varcare la soglia del governo. E allora bisogna impegnarsi già oggi se si vuole conseguire fra poco meno di tre anni l’obiettivo. Lo ricorda a Mendrisio, aprendo in mattinata il Congresso democentrista, il presidente della sezione locale Pierluigi Pasi. «Abbiamo le carte in regola per far parte del Consiglio di Stato», premette il deputato, richiamando i recenti «successi» che il partito guidato da Marchesi ha ottenuto «ai tre livelli: cantonale, federale e comunale». Successi che, avverte il granconsigliere, «dobbiamo però saper gestire» se si aspira alla poltrona nell’Esecutivo: «Mi appello pertanto alla responsabilità di tutti i nostri membri».
Nel frattempo sui tavoli della politica cantonale e di quella federale ci sono «temi cruciali», come li definisce Piero Marchesi. A cominciare dalla tassa di collegamento, il balzello sui posteggi mai digerito dall’Udc, che per eliminare l’odiato tributo ha lanciato un’iniziativa popolare: sedicimila le firme raccolte. «Venduta come la tassa per i frontalieri, si è presto rivelata una mazzata per i ticinesi. Fino a mille franchi l’anno di tributo per chi è di fatto costretto a utilizzare l’auto per andare al lavoro: in un Cantone dove i salari sono già del venti per cento più bassi rispetto al resto della Svizzera, imporre questo balzello è pura follia», dice perentorio il presidente cantonale del partito. Il dossier è ancora in Gran Consiglio, anzi in commissione Gestione, dopo il controprogetto uscito nei mesi scorsi dal Consiglio di Stato, che «vuole esentare dalla tassa i grandi magazzini». Cioè, osserva caustico Marchesi, «quelli che fino a ieri erano considerati “i grandi generatori di traffico”». E che «ora, tutto d’un tratto, non sono più un problema. Non ci sono più i “soldatini” della grande distribuzione», continua Marchesi rievocando quanto dichiarato anni fa in parlamento dal direttore del Dipartimento del territorio, il leghista Claudio Zali. Ma oggi, afferma il timoniere dei democentristi, il Gran Consiglio «ha la possibilità di abrogare questo ingiusto balzello, senza necessariamente passare dal voto popolare». E insiste: «Se una tassa è sbagliata, allora va abolita. Soprattutto se è già stata ufficiosamente messa in vigore e non ha comportato alcuna riduzione del traffico. Soprattutto se i ticinesi hanno ribadito, approvando il Decreto Morisoli e la riforma fiscale, che non vogliono incrementi di imposte e tasse».
Restando all’agenda cantonale, Marchesi conferma il lancio «nei prossimi giorni» dell’iniziativa popolare per «limitare» il numero di funzionari. Titolo: “Stop all’aumento dei dipendenti cantonali”. Verrà lanciata «insieme alla Lega e con il sostegno di esponenti del Plr e del Centro», indica il presidente dell’Udc. «Solo negli ultimi cinque anni il Consiglio di Stato ha gonfiato l’Amministrazione cantonale con ben 750 nuovi dipendenti: un aumento di spesa di quasi cento milioni di franchi l’anno». Puntualizza Marchesi: «Non ce l’abbiamo con i funzionari, ma intendiamo interrompere una politica governativa di assunzioni finalizzata non a migliorare i servizi ai cittadini, bensì unicamente a garantire al Consiglio di Stato un elettorato, un bacino di voti. Questo si chiama clientelismo».
Sulle finanze statali non poteva non intervenire il capogruppo in parlamento Sergio Morisoli. Dal primo al secondo Decreto Morisoli. Scopo immutato: pareggiare i conti del Cantone passando dal taglio della spesa, anzi dal «contenimento» della crescita della spesa pubblica. «Perché siamo fra i cantoni che spendono di più, che tassano di più, che ha il debito che sale di più». Un cantone «con i salari più bassi e con i premi di cassa malati più alti» della Svizzera. Eppure il Decreto bis non piace alla maggioranza delle forze politiche, perlomeno dalle prime reazioni. Intanto le finanze pubbliche peggiorano, sostiene Morisoli. E con una slide riassume, dal suo punto di vista, la posizione degli altri partiti di governo: “Plr: aspettare la crescita economica; Centro: aspettare l’analisi dei compiti; Lega: aspettare cosa fanno gli altri; Socialisti: non aspettare, aumentare subito le imposte; Governo: aspettare per non aspettarsi niente; Gran Consiglio: intanto spendiamo”.
Dalla politica cantonale a quella federale. Con una digressione storica del deputato al Nazionale Paolo Pamini sulla neutralità svizzera. E con il punto, del consigliere agli Stati Marco Chiesa, sul nuovo mandato negoziale con l’Unione europea. L’ex presidente nazionale dell’Udc non ci gira intorno: «Questo mandato negoziale è un vero e proprio biglietto di sola andata verso il baratro, verso l’annullamento della sovranità della Svizzera». Rincara Chiesa: «Qui è in gioco la democrazia diretta, quella che ci distingue dal resto del mondo, poiché a Bruxelles deciderebbero per noi cosa fare e come vivere. La nostra democrazia diretta verrebbe calpestata, ridotta a un esercizio di stile, senza alcuna importanza pratica. La Svizzera diventerebbe una colonia, un’appendice di Bruxelles. Altro che Paese indipendente!».
Il Congresso si avvia alla chiusura con la relazione di Diego Baratti, alla testa dei giovani Udc («La libertà si fonda anche sulla responsabilità individuale e lo Stato non può trasformarsi ogni volta nel pilota automatico delle nostre esistenze»), e il via libera a modifiche dello statuto, proposte, spiega la deputata Roberta Soldati, «per snellire alcune procedure e precisare determinati ruoli e funzioni in seno al partito».