La leggenda Giancarlo Giannini a Bellinzona nel giorno che ha visto il deputato leghista diventare presidente del Legislativo cantonale
È alzando le tapparelle dell’aula del parlamento, solitamente chiuse, che il leghista Michele Guerra ha aperto il suo anno da presidente del Gran Consiglio. «In questi tredici anni da deputato ho visto cose che vanno migliorate», afferma Guerra, eletto con 79 voti su 87 schede distribuite. «Si è parlato tanto di sostenibilità, ma non ho mai visto luce naturale entrare nell’aula. Ecco, apriamoci maggiormente e lasciamo entrare la luce. In tutti i sensi possibili».
Guerra prende il posto della centrista Nadia Ghisolfi che, lasciando la presidenza, ha ribadito la solidarietà dell’Ufficio presidenziale al deputato Fiorenzo Dadò, condannando «fermamente l’atto intimidatorio e il vile gesto rivolto al granconsigliere, vittima di minacce e intimidazioni. Qualunque atto intimidatorio – sottolinea – nei confronti di un parlamentare è da condannare. Ogni deputato deve infatti sentirsi libero di esercitare il proprio mandato in sicurezza, con la certezza che la libertà di espressione e di pensiero gli siano sempre garantite. In uno Stato di diritto il rispetto delle persone che si mettono a disposizione della cosa pubblica, svolgendo con impegno e serietà il loro mandato, va sempre tutelato e assicurato». Non solo. «È stato un anno impegnativo – aggiunge poi Ghisolfi –. Il ruolo che ricopriamo qui è molto importante, anche per l’immagine che diamo alla cittadinanza. Ricordiamocelo un po’ più spesso quando interveniamo».
Dopo il lungo discorso di Guerra – zeppo di metafore astronomiche e riferimenti storici – a prendere la parola è stata la leggenda del cinema italiano Giancarlo Giannini. L’attore, doppiatore e regista italiano ha portato in aula il monologo di Marco Antonio dal ‘Giulio Cesare’ di Shakespeare. Un monologo, per Giannini, «interessante per come viene applicata la retorica», scelto per il ruolo ora ricoperto da Guerra, del quale è amico personale, «diventato ormai un leader, uno importante». A margine del suo intervento, l’attore ha spiegato alla stampa il suo rapporto con il neoeletto presidente del Gran Consiglio: «Ci siamo conosciuti per caso in un ristorante a Roma. Lui era vestito un po’ strano, quasi un tirolese. E io glielo dissi, ‘ma chi è lei?’. Lui era molto simpatico, io ero simpatico a lui. Poi ci siamo risentiti per altre cose. Adesso sono qui per la simpatia che abbiamo l’uno per l’altro». Un evento per certi versi storico. «Il Ticino non è luogo che frequento spesso – ammette Giannini –. In Svizzera, seppur generalmente di passaggio, sono venuto comunque diverse volte. Ho recitato anche in un film. Però potrei diventare cittadino svizzero, ora che Michele è un potente presidente, magari glielo chiedo».
Rispetto alla scelta del monologo scritto da Shakespeare, Giannini sottolinea come nel testo sia presente un «bellissimo uso della retorica, attraverso cui Marco Antonio riesce a cambiare tutto e a diventare ciò che è diventato. Poi, chiaro, c’è stato Ottaviano, c’è stata la guerra, lui si è innamorato di Cleopatra e si è suicidato. Gliel’ho detto a Michele – puntualizza –, ‘stai attento che Marco Antonio si è suicidato’. Però è stato un leader, questo è indiscutibile». Sul rapporto con la politica l’attore afferma di essere «un anarchico, che non mette le bombe però». E chiarisce: «Mi sento libero, ma qual è la libertà di un uomo? Di avere le idee che ha, di poterle portare avanti, ma anche di cambiarle. A me piace molto leggere. Nel mio intervento ho nominato Cesare, Aristotele, Platone. Basta leggere loro. Loro sapevano tutto e non litigavano mai. Hanno cominciato dialogando». Secondo Giannini, «dialogare è la cosa più bella. La dialettica è ciò che ci permette di andare avanti, di curiosare e di conoscere quello che generalmente gli uomini non conoscono, ovvero il loro divenire. Tutti ci complichiamo la vita. Oggi quello che abbiamo perso è la semplicità della fantasia».