Dopo un estenuante dibattito arriva l'approvazione del Gran Consiglio. Confermata la non sostituzione del 20% dei partenti nei settori pubblici non Ppa
È un'araba fenice con un'ala spezzata ma che comunque le permette di volare nel 2024 e verso la scure che si abbatterà – davvero – in vista del 2025, il Preventivo che il Gran Consiglio è finalmente riuscito a votare pochi istanti fa, dopo due giorni e mezzo di discussione, con 46 favorevoli (da Plr, Centro, Lega), 36 contrari (tutti gli altri) e 2 astenuti. A bocciare il Preventivo, in casa liberale radicale, Cristina Maderni e Simona Genini. Ma in tutto il Plr l’entusiasmo non regna sovrano, con la capogruppo Alessandra Gianella a dire che «ci stiamo davvero, ma davvero turando il naso». Il deficit non si muove rispetto a ieri: -130,8 milioni di franchi, ben lontano dai -95 nel messaggio del Consiglio di Stato e a distanze siderali dai -40 che la cosiddetta e ormai morta e sepolta ‘road map’ per il rientro dal deficit aveva previsto.
Nessuna novità in mezzo a tanta canea. Restano, come votato nei giorni scorsi, lo stop al taglio dei sussidi di cassa malati, il no al rincaro per i dipendenti pubblici cui, ad ogni modo, è stato tolto il contributo di solidarietà progressivo fino ad arrivare al 2% per la parte eccedente i 60mila franchi dei salari.
Nessuna inversione nemmeno in merito alla questione della non sostituzione, nella misura del 20%, dei partenti nei settori dello Stato non regolati dal Piano dei posti autorizzati. Una misura inserita dalla maggioranza della commissione della Gestione che ha fatto salire sulle barricate la sinistra perché, sebbene non sia stato chiarito del tutto e anche il Consiglio di Stato abbia ammesso di non avere un piano senza prima fare tutte le analisi del caso, andrà a colpire soprattutto formazione, pedagogia speciale e servizi dello Stato.
Per Lisa Boscolo (Ps), autrice dell'unico emendamento rimasto dopo le votazioni eventuali, e che chiedeva lo stralcio della misura che va a sommarsi al mantenimento della non sostituzione, sempre del 20%, per i partenti nei settori invece regolati dal Ppa, «è una questione di pragmatismo, gli allievi aumentano e con loro le problematiche sempre più complesse che devono affrontare. Mi chiedo come si farà a offrire meno servizi e diritti con più allievi».
Il capogruppo socialista Ivo Durisch insiste: «Questo articolo è stato fatto in fretta e furia e mostra tutte le sue fragilità, la non sostituzione strutturale è un problema. Se il governo sopprime un posto in un ufficio di un settore dove aumentano le necessità, non potrà di riflesso aumentare le unità. Non si sa nemmeno come e quanto si andrà a colpire i servizi, sappiamo di certo che andrà a colpire gli allievi».
A opporsi alla misura anche il Consiglio di Stato. Prima con il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta, che parla espressamente di «disfunzioni a livello operativo» e spiega il perché della decisione di togliere, nel messaggio, la non sostituzione del 20% dei partenti nei Ppa decisa nelle prime misure l'anno scorso: «Era ritenuta sopportabile limitatamente all'anno in corso», stop. Ad ogni modo, «approfondiremo e formuleremo alla Gestione una proposta tenendo conto della particolarità dei settori interessati».
Ciò detto, è il turno della direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport Marina Carobbio che, con malcelato sconcerto, afferma come «è evidente a tutti che la proposta della maggioranza tocca la formazione», e quindi servono «due puntualizzazioni». La prima, è che per Carobbio «sembrerebbe che nel mondo della scuola non si tenga conto della necessità di rispondere ai bisogni e avere i mezzi per poterlo fare. Sembra che la spesa cresca perché qualcuno nel Dipartimento ha deciso di farla crescere, sono decisioni prese da voi nel Legislativo con cognizione di causa di avere figure professionali nella scuola, di ridurre il numero massimo di allievi per classe, di aiutare i giovani in difficoltà con docenti mediatori. E c’è il problema della salute mentale, sempre più acuto».
Non solo, perché Carobbio fa notare che per quanto riguarda la pedagogia speciale «la scelta risale al 2011, ed è del governo poi del parlamento. C’è un concordato intercantonale, e la legge prevede che chi ha bisogno di pedagogia speciale ha il diritto alle misure. Per questo i costi aumentano». Per la direttrice del Decs «il dibattito di oggi sembra dimenticare quanto discusso e deciso negli anni in quest'aula».
Sulla pedagogia speciale prende la parola Bixio Caprara (Plr), citandola ad esempio della possibilità di agire nella formazione, «un mondo che non può chiamarsi fuori dall'attenzione e dalle risorse umane. Nel settore della pedagogia speciale nell'anno scolastico 2012/2013 c'erano 462 allievi, nel 2022/2023 602: +30%. I costi, però, sono passati da 36,4 milioni a 68,5: +88%. C‘è una forte discrepanza, un minimo di attenzione senza stravolgere niente si può fare. Anche perché le leggi che regolano la scuola prevalgono su un decreto legislativo».
Arrembante come al solito il capogruppo Udc Sergio Morisoli: «Tra i vari appellativi che mi porto dietro c’è anche quello di manager, colui che conduce un'azienda che non è la sua e ha la responsabilità verso gli azionisti e chi rischia. Bisogna essere manager anche nello Stato, dobbiamo rendere conto ai cittadini. Votare questa non sostituzione è prezioso fieno in cascina in vista dell'anno prossimo, perché una volta votato questo Preventivo non si ripartirà da zero. Prima si attuano queste misure ‘soft’, si parte da sprechi, affrontare il superfluo e i cambiamenti organizzativi. Anche per evitare il più possibile le misure ‘hard’, licenziamenti e tagli salariali. Qualsiasi azienda farebbe così».
Convinto la sinistra? Ma neanche per idea. Maurizio Canetta (Ps) chiede: «Dobbiamo ringraziare perché la non sostituzione è solo del 20% visto che c'erano proposte peggiori, come detto dal presidente della Gestione Michele Guerra?». E si risponde: «È una scelta indiscriminata, significa non tenere conto della ponderazione, è qui che sta il male assoluto (sic, ndr) di questo articolo».
Danno man forte i comunisti con Massimiliano Ay – «un atto di sabotaggio contro la scuola pubblica» e la «assolutamente contraria» Tamara Merlo (Più donne). Aggiunge Giulia Petralli (Verdi): «Si diminuiscono costantemente i servizi erogati, è una misura insostenibile che aumenterà il malessere, le malattie di lunga durata e la qualità dei servizi». Secca opposizione anche da Matteo Pronzini (Mps).
Claudio Isabella, deputato del Centro e sindacalista Ocst, affonda: «Non ha senso questa misura, come si fa a mettere le mani in qualcosa che non si conosce?». Niente da fare.
Dopo aver scartato in serie gli altri emendamenti, tra cui quello di Omar Balli con cui la Lega chiedeva di aumentare le percentuali di non sostituzione dei partenti, e prima del voto che boccia anche l'emendamento Boscolo, si (ri)apre la questione aperta dai socialisti sul finire della scorsa settimana: è referendabile un decreto legislativo? In altre parole: i cittadini potranno esprimersi dopo una raccolta firme su questa decisione? Nessuna risposta dalla Gestione, per il grande sconcerto del Ps. Qualche minuto dopo prende la parola la presidente del Gran Consiglio Nadia Ghisolfi: «Non è referendabile, è un atto di natura amministrativa con auspici all'indirizzo del governo».