Manovra di risparmio, tutte le scuole medie superiori scrivono ai deputati: ‘Il risanamento finanziario non può avvenire attingendo a salari e pensioni’
È l’ulteriore conferma di quanto risultino indigesti e inaccettabili al mondo della scuola ticinese il Preventivo 2024 del Cantone e la relativa manovra di rientro partoriti dal Consiglio di Stato. È l’ulteriore conferma del disagio che alligna nel corpo docente per i tagli prospettati dal governo per i dipendenti pubblici: segnatamente il mancato riconoscimento del carovita e il cosiddetto contributo di solidarietà, in realtà una trattenuta salariale bella e buona. È una risoluzione dura, chiara e documentata quella che i collegi dei docenti di tutte le scuole medie superiori del Cantone hanno inviato ai deputati del Gran Consiglio. “A nostra memoria, si tratta della prima volta che l’intero settore scolastico si esprime a una voce sola; e lo fa all’unanimità”, scrivono ai parlamentari la presidente e i presidenti dei collegi docenti dei licei cantonali e della Scuola cantonale di commercio (Giacomo Mascetti, Michael Schwarzenbach, Alexandre Hmine, Daniele Bortoluzzi, Lorenzo De Santis, Francesca Mariani Arcobello, Andrea Moser).
L’inizio della risoluzione è perentorio: “La gravità delle misure di risparmio inserite nel Preventivo 2024 spinge tutte le sedi cantonali di scuola media superiore, dopo le risoluzioni già adottate da diversi collegi di docenti nello scorso mese di novembre, a manifestare congiuntamente preoccupazione e dissenso”. Preoccupazione e dissenso. “Auspichiamo che questa reazione corale, indicativa del livello d’indignazione suscitata dai nuovi tagli al servizio pubblico e alla scuola, a cui si aggiungono quelle di altri ordini scolastici e professionali, possa trovare ascolto all’interno della società e indurre le istituzioni a tornare sui propri passi”, si sottolinea nel documento. Gli insegnanti delle scuole medie superiori esprimono così “preoccupazione per gli effetti diretti che molti dei provvedimenti avranno su tutta la collettività, e dunque anche sulle nostre allieve, sui nostri allievi e sulle loro famiglie”. In particolare, sostengono, “i tagli previsti alla spesa sociale causeranno un ulteriore indebolimento del tessuto comunitario in una fase di congiuntura economica sfavorevole, in cui da più parti si segnalano i pericoli derivanti dalla perdita di potere d’acquisto e dall’aumento dei livelli di povertà”. Parole che dovrebbero indurre la politica a riflettere attentamente. E per essere ancor più espliciti aggiungono: “Manifestiamo il nostro categorico dissenso verso le misure preventivate, che si inseriscono a tutti gli effetti in quella categoria di ‘tagli drastici’ e di ‘sacrifici insopportabili’ che nella campagna elettorale sul cosiddetto decreto Morisoli erano stati esclusi, ma che ora la classe politica presenta come necessarie misure di contenimento della spesa”.
Riguardo alle condizioni d’impiego dei dipendenti pubblici, i provvedimenti annunciati “prevedono di rinunciare all’adeguamento al carovita (attestatosi all’1,4% per il 2023) e di prelevare, quale ‘contributo di solidarietà’ (ma solidarietà verso chi?), un ulteriore 2% dai salari superiori ai 60’000 franchi al 100%: sommando a questi tagli indiscriminati anche l’aumento dello 0,8% dei contribuiti per il secondo pilastro deciso di recente, si arriva a una riduzione salariale di quasi il 4%”. Questa “decurtazione” di stipendio, evidenziano i collegi dei docenti, “si inserisce in una costante tendenza al peggioramento delle condizioni di lavoro avviata dagli anni Novanta. Anche a fronte della crescente complessità dei compiti affidati all’Amministrazione pubblica e alla scuola, questa cospicua riduzione salariale è oltraggiosa, perché lede la nostra dignità di lavoratori e lavoratrici, e contribuisce a rafforzare un immaginario negativo, costruito attorno a dipendenti pubblici e docenti, che ci svilisce e ci offende”. No, così proprio non funziona: “Non possiamo più accettare interventi unilaterali, e sempre al ribasso, sulle nostre condizioni lavorative e salariali”. Il contenimento della spesa del Cantone Ticino “non può avvenire attingendo ai salari e alle pensioni dei dipendenti pubblici: non sono risorse a disposizione di chi è chiamato a governare”.
E “sono trent’anni”, continua la nota, che “governo e parlamento prendono decisioni sui propri dipendenti mentre la situazione lavorativa dei docenti e di tutto il personale pubblico è sensibilmente peggiorata”. L’elenco è lungo, anzi, “uno stillicidio di penalizzazioni”. Dal 1993 a oggi, “i dipendenti cantonali hanno subito per ben 8 volte un mancato adeguamento del carovita, con effetti salariali che si ripercuotono su tutto l’arco della carriera”. Non solo, vengono rimarcati l’aumento da 30 a 40 anni del tetto massimo di contributi per la pensione, l’aumento del 5% dell’onere lavorativo, riduzioni di classe dello stipendio, perdita o blocchi di scatti di anzianità, la partecipazione a “sette contributi di risanamento o di solidarietà”, la riduzione delle rendite pensionistiche… L’elenco è lungo, appunto.
Ciò detto, riprende lo scritto trasmesso a tutti i deputati al Gran Consiglio, in questo contesto non propriamente sereno “gli insegnanti devono rispondere in misura crescente alle esigenze di allievi e allieve (...). Sempre più spesso i docenti devono adottare forme didattiche nuove e sperimentali, che comportano maggiori responsabilità e oneri lavorativi, derivanti anche dalla necessità di incrementare la collaborazione con i colleghi, con altre figure professionali o con genitori sempre più desiderosi di incontri e di riscontri”.
A tale aumento “dell’impegno quantitativo e qualitativo del lavoro”, attaccano i docenti, “non ha corrisposto un aumento proporzionale delle risorse per il corpo docente (a partire dal tempo a disposizione), né della qualità delle strutture logistiche”. Insomma, “all’attività didattica prevista per legge si aggiungono sempre più oneri e mansioni che non hanno il dovuto indennizzo salariale e a volte neanche la necessaria tutela professionale”. Gli insegnanti assicurano, nonostante tutto, la loro buona volontà perché “malgrado le nuove misure di risparmio rappresentino l’ennesimo segnale di scarsa considerazione, noi docenti dei licei cantonali e della Scuola cantonale di commercio, cercheremo, come abbiamo sempre fatto, di garantire ai nostri allievi e alle nostre allieve una formazione di qualità”. Tuttavia, sottolineano nella presa di posizione, “anche il Cantone deve fare la sua parte nella tutela delle condizioni di lavoro che offre e offrirà agli insegnanti: non si pensi – ammoniscono i docenti – che la politica di tagli sui salari e l’aggravio delle mansioni non abbiano conseguenze sull’attrattività della professione, e che non abbiano ricadute negative sulla qualità del lavoro dei docenti”. Ecco spiegato, quindi, “perché con queste risoluzione protestiamo a una voce sola, e ci dichiariamo pronti a intraprendere misure incisive per difendere i nostri salari e la scuola”. Questo perché “è giusto che lo Stato, come ogni altro datore di lavoro, onori i propri impegni”. Ma pure “perché è necessario che tuteliamo la nostra dignità professionale, trattata con miopia e superficialità”. E, soprattutto, “perché vogliamo difendere la qualità della scuola pubblica ticinese, nonostante la volontà politica di colpirne, nel corpo docente, la risorsa fondamentale”. E Buon Natale.