Sono 191 le persone interessate in Ticino dal licenziamento collettivo annunciato oggi. Frieden (Transfair): ‘Per loro è un reddito fondamentale’
Sono 3’855 sul piano nazionale, di cui 191 in Ticino, le persone coinvolte dalla possibile soppressione dei servizi di recapito di Direct Mail Company (Dmc) annunciata oggi dalla Posta. «Come sindacato siamo molto colpiti da questo licenziamento collettivo, forse uno dei più grandi per il nostro Paese negli ultimi anni. È molto raro che ci siano in Svizzera quasi quattromila persone che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro in un colpo solo». Il quadro è serio per Diego Frieden, responsabile supplente della categoria Posta e logistica, segretario centrale di Transfair, nonché responsabile del partenariato sociale con Dmc. Contattato da ‘laRegione’, osserva: «La ristrutturazione in atto è gravissima. In questo caso il datore di lavoro (la Posta, ndr) appartiene però totalmente alla Confederazione e ha quarantamila dipendenti. In tal senso, ci aspettiamo che, una volta terminata la consultazione in merito, il piano sociale sia veramente all’altezza della situazione».
Ma andiamo con ordine. Dmc è una società affiliata della Posta rilevata totalmente dal gruppo nel 2012 che si occupa della distribuzione di pubblicità e di giornali gratuiti. Quali sono le motivazioni dietro a questo possibile intervento? «Dmc – ci spiega la portavoce dell’ex regia federale Nathalie Dérober – ha sempre meno materiale da recapitare, negli ultimi dieci anni i volumi sono diminuiti di circa un terzo. Nonostante le misure adottate per incrementare l’efficienza, l’azienda non riesce più a gestire la sua organizzazione coprendone i costi, motivo per cui non vede altra possibilità se non quella di affidare il recapito dei suoi invii alla Posta a partire da giugno 2024». Dérober assicura però che «Dmc farà tutto il possibile per gestire l’eventuale riduzione dei posti di lavoro assumendosi pienamente la propria responsabilità sociale». E la Posta? «La procedura di consultazione – sottolinea Frieden – deve ancora avvenire, ma vedendo che la durata prevista è solo di tre settimane, si ha l’impressione che le alternative siano già state esaminate. Noi supponiamo però che siano state analizzate le varianti che concernono unicamente l’azienda Dmc, mentre secondo noi dovrebbe essere la Posta nel suo insieme a impegnarsi nella ricerca di una soluzione che possa salvare il maggior numero di posti di lavoro possibili».
Allo stesso modo Marco Forte, responsabile di Syndicom per la regione Ticino e Moesano, richiama la Posta al suo ruolo: «Siamo preoccupati per questa chiusura che coinvolge tantissimi dipendenti. Ci aspettiamo e chiediamo che la Posta si assuma le proprie responsabilità sociali, reintegrando queste persone». Da noi interpellata, la responsabile Regione Sud di Transfair Nadia Ghisolfi si esprime anche in veste di presidente del Gran Consiglio ticinese: «Non siamo naturalmente contenti di questa situazione, di queste chiusure e tagli in impieghi para-pubblici. Adesso è in corso una consultazione e speriamo che si possano prevedere delle misure alternative per i dipendenti e soprattutto riuscire a tenerli all’interno del gruppo Posta, perché alla fine sempre del gruppo Posta si tratta».
In Ticino, stando ai dati della Posta, le 191 persone coinvolte da questa misura corrispondono a 19,1 impieghi a tempo pieno. Queste cifre, illustra Forte, ci mostrano che «la maggior parte di questi dipendenti lavora tra le tre e le otto ore a settimana. Si tratta dunque di un’entrata aggiuntiva che, particolarmente in questo periodo caratterizzato da un aumento generalizzato del costo della vita, permette loro di far fronte alle spese. In tal senso, per questi lavoratori non può che essere una perdita importante». Dello stesso avviso è anche Frieden che evidenzia come in questo caso siano toccate «delle persone che hanno una necessità importante, ancora più acuta in questo periodo data per esempio la forte inflazione, di avere questo piccolo reddito aggiuntivo: non stiamo in effetti parlando di migliaia, ma di qualche centinaia di franchi al mese. Come se non bastasse – prosegue – questo succede all’interno di un gruppo, quello della Posta, che è un’azienda totalmente pubblica, il che significa che la componente di responsabilità sociale, rispetto ad altri enti, è ancora più importante. Per queste ragioni, il nostro obiettivo è che si possa trovare una soluzione di mantenimento dell’impiego per tutte le persone che alla fine saranno colpite da questa decisione molto dura». E aggiunge: «Circa un quarto di questi impiegati sono già in età pensionabile e lavorano a percentuali molto basse. Per questo potrebbe essere difficile reintegrarle compatibilmente con l’organizzazione della Posta. Trattandosi però di migliaia di persone andrebbe forse fatta una riflessione generale sull’organizzazione di alcune attività così da poter integrare questi lavoratori. Che sia difficile non c’è dubbio, ma sicuramente non è impossibile».
Come ci spiega Dérober, Dmc e la Posta sono in stretto contatto con i sindacati Syndicom e Transfair e, «se la procedura di consultazione confermerà quanto attualmente previsto, Dmc intende adottare delle misure di attenuazione di tipo sociale come, per esempio, misure finanziarie o di assistenza nella ricerca di un nuovo impiego». Anche Forte ci conferma che sono in programma degli eventi informativi, «durante i quali incontreremo i collaboratori della compagnia. Lo scopo di queste consultazioni con il personale, dove noi faremo il punto in qualità di rappresentanti dei lavoratori, è di capire quali siano le loro richieste. Da parte nostra, abbiamo già comunicato che per noi è essenziale che la Posta reintegri il personale all’interno del gruppo e che, per chi non volesse essere reintegrato, venga messo a disposizione un piano sociale con delle indennità adeguate».
Medesimi gli obiettivi di Transfair: «Noi – chiarisce Frieden – chiediamo innanzitutto che Dmc e la Posta garantiscano a queste persone un impiego all’interno del gruppo. La Posta non è un’azienda qualsiasi. È un’azienda pubblica, che ha una forte componente sociale, già solo per quanto concerne la sua presenza sul territorio. La Posta stessa riconosce che l’attività di cui parliamo, ovvero la distribuzione di pubblicità e di giornali gratuiti, fa parte delle sue attività. Questo vuol dire che in un modo o nell’altro dovrà assicurare questo servizio. Noi pensiamo che le persone più adatte a farlo siano quelle che già oggi hanno questa funzione». Frieden mette però in guardia: «In casi come questi, si tende spesso a saltare già alla conclusione, ovvero a che cosa succederà con il piano sociale, senza pensare alla fase di consultazione. Più tardi, quando la decisione sarà ufficiale, bisognerà effettivamente parlare di piano sociale andando a cercare di capire quale sia la capacità finanziaria del datore di lavoro e quanto grave sia la ristrutturazione in atto. Speriamo che le persone toccate siano il meno possibile».