I particolari dello studio a livello svizzero che ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora, anche nella Diocesi di Lugano
C'era chi organizzava escursioni con i chierichetti e i bambini del villaggio. ‘Peccato’ che nel camper che utilizzava per il loro trasporto ne abusasse sessualmente. Chi, insegnante di religione, allungava le mani sotto i vestiti dei piccoli alunni, palpeggiandoli. Abusi che avvenivano durante le lezioni, nelle attività in canonica, in sacrestia durante la preparazione della Messa, ma anche al cimitero. Tutti ne parlavano, pochi parlavano, meno ancora, fra le autorità superiori, intervenivano per arginare tali incresciosi comportamenti. Anzi, chi manifestava questi fatti veniva tacciato di non essere “un buon cristiano, perché non avrebbe dovuto denunciare”.
Sono 136 le pagine dalle quali affiora un quadro desolante di quelle che erano pratiche sconvenienti, proibite e illecite di preti e sacerdoti nei confronti soprattutto di minorenni. Un Rapporto, coordinato dall'Università di Zurigo, sul progetto pilota per la storia degli abusi sessuali nel contesto della Chiesa cattolica romana in Svizzera che sviscera anno dopo anno, dal 1950 ad oggi, numeri e casi di un fenomeno, perlopiù celato da omertà, archivi secretati e documenti distrutti. Qui, finalmente, potremmo dire (perché ad ogni modo in ritardo rispetto ad altre indagini come quella americana, irlandese o tedesca, avvenute fin dalla metà degli anni Ottanta), troviamo “le prove di un'ampia varietà di casi di abuso sessuale, da problematici atteggiamenti irrispettosi ai più gravi abusi sistematici”.
Oltre mille i casi di abuso riscontrati. Nessuna Diocesi, delle sei svizzere, esclusa. Fra queste quella ticinese, dove i ricercatori hanno evidenziato diversi problemi gestionali: i documenti conservati negli archivi sono risultati spesso frammentari a causa della prassi archivista poco organizzata e professionale, circostanza che ha reso difficile la ricostruzione dei casi di abuso. Diverse fonti, inoltre, hanno portato alla considerazione che le lacune riscontrate sono dovute anche alla distruzione di documenti tra la metà e la fine degli anni Novanta. Un esiguo numero di casi quelli di cui si è occupata la Commissione della Diocesi di Lugano che “non è verosimilmente dovuto al fatto che in Ticino si siano verificati così pochi casi di abuso sessuale nel periodo oggetto dell'indagine, ma evidenzia piuttosto una forte riluttanza da parte delle persone offese a denunciare tali casi”.
Lo studio dimostra quindi (nuovamente) il fallimento della Chiesa, in questo caso svizzera, nell’affrontare gli abusi. Un mea culpa già presentato ai presbiteri e diaconi, religiose e religiosi, da parte della Diocesi di Lugano, che in un documento interno, in attesa della pubblicazione oggi, martedì 12 settembre, del rapporto finale, scrive: “Molti responsabili ecclesiastici hanno adottato un comportamento sconsiderato, non hanno preso sul serio le vittime e hanno protetto i colpevoli. Persino persone ripetutamente condannate sono state trasferite, consentendo così che commettessero altri crimini. Affrontiamo questa colpa e ce ne assumiamo la responsabilità. Ciò significa che dobbiamo fare di tutto per ridurre al minimo i rischi di abuso e impedire che in futuro simili casi vengano occultati”.
Il progetto pilota ha portato alla luce documenti custoditi negli archivi ecclesiastici e dichiarazioni scaturite dai colloqui con le vittime che rivelano la portata degli atti perpetrati e la grande sofferenza delle vittime. Al contempo, i risultati mostrano gli errori umani e i comportamenti negligenti e irresponsabili, nonché il fallimento delle istituzioni ecclesiastiche, i cui dirigenti – come hanno sottolineato la Conferenza dei vescovi svizzeri, la Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera e la Conferenza delle unioni degli ordini religiosi e delle altre comunità di vita consacrata in Svizzera – “hanno occultato gli abusi causando ulteriori vittime. I responsabili hanno esitato a lungo prima di confrontarsi con questa colpa e assumersi la grande corresponsabilità per i crimini, le cui conseguenze sono pagate dalle vittime spesso per tutta la vita. Il progetto pilota e il successivo progetto scientifico 2024-2026 già definito segnano l’inizio di una rielaborazione a livello nazionale, destinata a durare anni. Inoltre, le persone responsabili all’interno della Chiesa hanno definito nuove misure per ridurre i rischi di ulteriori abusi e impedirne l’occultamento”.
Un documento che scoperchia un vero e proprio vaso di Pandora. Domani, mercoledì, è dunque attesa la conferenza stampa promossa dalla Curia luganese.