Centro, Lega e Partito socialista esprimono perplessità sulla proposta formulata dal Consiglio di Stato. Solo i liberali radicali la considerano positiva
Una riforma fiscale che non convince la maggioranza dei partiti di governo. Non convince il Centro, la Lega e il Ps. Gli unici a sostenerla sono i liberali radicali. «Non si è mai vista una riforma fiscale che fa pagare più imposte alla gente – esordisce il capogruppo del Centro Maurizio Agustoni –. Le proposte possono anche essere condivisibili, quello che non va bene è il modo in cui le si vogliono finanziare, ovvero aumentando le imposte a tutti attraverso il passaggio del coefficiente cantonale d'imposta dal 97 al 100%. La metà di questo aumento servirebbe a compensare uno sgravio destinato unicamente al 2% più ricco della popolazione».
Secondo Agustoni «va anche bene abbassare le imposte alle persone più facoltose per essere più attrattivi, ma non a scapito della maggior parte della popolazione. Prendiamo gli anziani – esemplifica –, a meno che non abbiano una pensione stratosferica, pagherebbero il 3% in più di imposte e non beneficerebbero di nessuna delle misure proposte perché hanno già prelevato il secondo pilastro, non hanno spese professionali, di solito non ereditano più». Per il capogruppo del Centro bisogna valutare anche altri aspetti per formulare un giudizio complessivo: «Se per l'anno prossimo venissero resi più rigidi i parametri per accedere ai sussidi di casse malati, alla fine del 2024 una famiglia del ceto medio potrebbe trovarsi con meno soldi in tasca rispetto alla fine del 2023, anche se ci guadagnasse qualcosa dall’aumento delle deduzioni per spese professionali». Inoltre, aggiunge Agustoni, se la sinistra dovesse lanciare un referendum, «il rischio è che il pacchetto venga affossato e con esso qualsiasi ulteriore proposta di sgravio più equilibrata». E ora? «Bisognerà capire se si trovano accordi per salvare le proposte buone e renderle più difendibili davanti alla popolazione. Per noi è imprescindibile che a parità di condizioni nessuno debba vedersi aumentare le imposte», commenta Agustoni.
Le proposte governative non tengono conto del ceto medio? «La critica secondo me non regge», dice il deputato dell’Udc Paolo Pamini. «Quattro sono i pilastri di questo progetto di riforma e uno è l’aumento della deduzione per le cosiddette altre spese professionali, che va ad alleggerire il carico fiscale anche del ceto medio che lavora. Auspico invece – aggiunge – che in Gran Consiglio si possa valutare seriamente il mantenimento del coefficiente cantonale di imposta al 97 per cento: si lascerebbero nelle tasche dei contribuenti, compresi quelli del ceto medio, quarantacinque milioni, che è l’1 per cento del budget del Cantone. L’operazione sarebbe quindi sostenibile per le finanze cantonali». Detto questo, la riforma prospettata dal Consiglio di Stato «a noi democentristi sembra buona: accoglie molte delle nostre richieste e quindi l’appoggiamo, ritenendola assolutamente necessaria per evitare che il Ticino perda ancora grossi contribuenti e per attirarne di nuovi. La partita ormai si gioca sulle persone fisiche. Pensando anche ai grandi gruppi aziendali, l’attrattività di un territorio dipenderà sempre più dalla tassazione dei loro azionisti o dei loro top manager: è inutile tirare giù l’aliquota dell’imposta sull’utile delle persone giuridiche se poi si bastona fiscalmente chi in esse lavora con mansioni dirigenziali e che potrebbe quindi spostare il proprio domicilio fiscale altrove dove paga meno tasse sul reddito. L’unica critica che si potrebbe fare al governo è di aver licenziato questo importante messaggio in un periodo in cui stanno per aprirsi altri grossi due cantieri: le pensioni degli statali e la manovra di rientro. Cosa che non faciliterà la discussione in parlamento».
Netto il giudizio del granconsigliere e portavoce della Lega Daniele Caverzasio sulla riforma presentata dal Consiglio di Stato. «L’elefante ha partorito il topolino – sostiene perentorio Caverzasio –. Si va giustamente a migliorare delle situazioni particolari, legate a determinate categorie di contribuenti, situazioni che ci ponevano agli ultimi posti nel confronto intercantonale quanto a concorrenzialità fiscale, ma non si va a toccare chi oggi è più tartassato, che è il ceto medio, cioè il grosso della nostra popolazione, confrontato oltretutto con rincari vari. Questa miniriforma – rincara il deputato e municipale di Mendrisio, dove è responsabile del Dicastero finanze – dimentica completamente, se addirittura non la peggiora in prospettiva, la situazione in cui si trova il ceto medio. È vero che in Gran Consiglio si era deciso a suo tempo di riportare il moltiplicatore cantonale d’imposta dal 97 al 100 per cento, ma è altrettanto vero che dal governo ci si aspettava anche una chiara diminuzione delle imposte soprattutto per il ceto medio. Invece questo viene toccato marginalmente, e dicendolo faccio già un favore al Consiglio di Stato. Parliamo infatti di un ritocco, ovvero l’aumento della deduzione per le spese professionali. Se questa riforma viene sottoposta al voto popolare rischia di non passare. Quindi in parlamento o riusciamo a mantenere al 97 per cento il coefficiente d’imposta cantonale, o a proporre una vera riduzione delle imposte per il ceto medio, oppure, ripeto, questa riforma tributaria verrà bocciata in votazione popolare in caso di referendum».
Per il capogruppo socialista in Gran Consiglio Ivo Durisch «si conferma la linea del governo che ha portato all’attuale situazione di fragilità delle finanze cantonali». Ossia «fare riforme fiscali principalmente a beneficio dei grandi capitali e delle persone particolarmente facoltose». Come Ps, prosegue Durisch, «crediamo che a fronte dei più che probabili tagli ai sussidi di cassa malati – riconducibili all’annunciata manovra di risparmio per il pareggio dei conti del Cantone e attesi per settembre quando le stesse casse malati annunceranno un ulteriore aumento dei premi –, venire a proporre delle riduzioni di imposta per le persone particolarmente benestanti sia non solo un problema politico, ma anche un problema etico. Qui si toglie ai poveri per dare ai ricchi. La politica fiscale delle minori entrate ha infatti portato a effettive e prospettate riduzioni delle prestazioni dello Stato di cui necessitano le persone più fragili della società, come gli anziani. Noi non abbiamo mai approvato questa redistribuzione al contrario delle risorse». Non solo. «Il ceto medio – rileva Durisch – beneficerebbe pochissimo di questa riforma. Una persona per esempio con quarantamila franchi di reddito beneficerebbe complessivamente di sedici franchi all’anno: risparmierebbe appena sedici franchi quando poi ne perderebbe molti di più a causa della riduzione dei sussidi per il pagamento dei premi di cassa malati, riduzione dovuta alle minori entrate per lo Stato. A questa riforma fiscale noi ci opponiamo». Il Partito socialista, fa sapere in una nota, valuterà anche «il lancio di un referendum in caso di approvazione da parte del Gran Consiglio di questa ingiusta riforma».
Sulla stessa lunghezza d'onda i Verdi che in un comunicato si dicono “molto scettici e critici sull’opportunità di fare ulteriori sgravi fiscali, in particolare se la motivazione è legata alla concorrenza fiscale intercantonale”. E questo soprattutto in un contesto finanziario difficile “in cui a causa del decreto Morisoli bisognerà risanare le finanze quasi esclusivamente riducendo le spese e quindi tagliando servizi alla popolazione”. Secondo il movimento, gli sgravi fiscali “indeboliscono lo Stato nell’affrontare le emergenze, non da ultimo quella climatica ed energetica” e anche loro come i socialisti sostengono che i problemi strutturali delle finanze del Canton Ticino “dipendono in gran parte dagli sgravi fiscali votati negli ultimi 10-15 anni”. Inoltre, aggiungono, il ritorno del coefficiente d’imposta cantonale al 100% andrebbe piuttosto utilizzato “per ridurre l’impatto e la portata della manovra finanziaria ed eventualmente per introdurre uno sgravio fiscale esclusivamente sui redditi
medio-bassi, in particolare sul ceto medio (redditi imponibili al di sotto dei 150’000 franchi), o per degli aiuti mirati. In questa difficile situazione congiunturale è soprattutto il ceto medio che non riceve sussidi e il ceto basso dipendente dagli aiuti (messi in pericolo dalla manovra finanziaria) ad avere delle difficoltà”.
Per contro la capogruppo liberale radicale Alessandra Gianella considera la proposta «positiva, perché porta a una modernizzazione del nostro quadro fiscale che segue in un certo senso l’evoluzione della società, come quella di riconoscere nuove forme di convivenza. Si affrontano poi altre questioni importanti come quella della successione che è imposta con aliquote molto alte. Si aumenta inoltre la deducibilità delle spese professionali che va a toccare tutte le persone che lavorano. E poi c’è l'aspetto della successione aziendale che in Ticino per le Pmi è sempre stata un grosso problema». Inoltre, aggiunge Gianella, «se si pensa agli alti redditi, proprio nei giorni scorsi il Consiglio di Stato ha risposto a una nostra interrogazione sui globalisti dicendo che in effetti ci sono state molte partenze di contribuenti facoltosi negli scorsi anni. Con questa riforma c'è un tentativo di diventare attrattivi, uscendo dal fondo della classifica per posizionandosi in una media intercantonale, senza pretendere di diventare i primi della classe». Quanto all'aumento del moltiplicatore cantonale, Gianella evidenzia che «si sapeva già che sarebbe tornato al 100%, e la riforma in questione si inserisce proprio nei margini finanziari disponibili dati da questo aumento». Mentre sulle differenti posizioni dei partiti commenta: «Sarebbe stato utopico pensare di trovarsi davanti un messaggio che andasse bene a tutti. Ma la sua presentazione è un passo che si aspettava da tempo e ora abbiamo sul tavolo una base concreta su cui discutere».
«Il messaggio del Consiglio di Stato è a nostro parere equilibrato e tiene conto dei diversi e contrapposti interessi» annota il presidente dell’Act, l’Associazione dei comuni ticinesi, Felice Dafond. «Le proposte del governo, rispetto ai molti atti parlamentari pendenti in Gran Consiglio, sono proporzionate e sono sopportabili per i Comuni», continua il sindaco di Minusio. Il quale tiene a precisare che il costo della riforma per i Comuni «non è di 33 milioni ma di 27,6 in quanto la deduzione dei premi di cassa malati per i figli è già entrata in vigore, con effetto retroattivo al primo gennaio di quest’anno, a seguito dell’approvazione popolare» lo scorso 18 giugno della relativa modifica legislativa derivante dall’iniziativa parlamentare di Plr, Lega, Centro e Udc. Quanto all’adeguamento dell’imposizione della previdenza, uno dei capitoli della riforma tributaria confezionata dal Consiglio di Stato, Dafond osserva: «Il nostro Cantone, nel raffronto con gli altri, è abbondantemente sopra la media e vi sono quindi contribuenti, in prossimità del loro pensionamento, che se ne vanno dal Ticino quando devono prelevare i loro averi previdenziali in capitale. Oltre a evitare la fuga di contribuenti importanti dal profilo del gettito fiscale, questa misura potrebbe anche contribuire ad attrarne di nuovi, si pensi ad esempio ai molti confederati proprietari di residenze secondarie nel nostro Cantone. Da questo punto di vista la misura è molto interessante per i Comuni residenziali che contano sul loro territorio un numero importante di residenze secondarie».