Dal Consiglio di Stato la prima legge cantonale in materia. Dafond: ‘Passo opportuno’. Il progetto normativo va in parlamento
“Stabilendo per tutti i Comuni una congrua durata per la conservazione dei dati, si agevolerebbe, e non di poco, il lavoro degli inquirenti che adesso a seconda del luogo in cui viene commesso un reato devono tener conto anche dei differenti tempi di tenuta delle immagini”. Era l’aprile 2018. Allora Nicola Respini, oggi giudice del Tribunale d’appello (presiede la Corte dei reclami penali), lavorava al Ministero pubblico quale procuratore capo, responsabile del gruppo di pp dediti al perseguimento dei reati comuni, tutti quegli illeciti che non sono finanziari. Intervistato cinque anni fa dalla ‘Regione’ sul tema della videosorveglianza e in particolare sui tempi di conservazione dei filmati da parte delle autorità locali - tempi che fissati nei rispettivi regolamenti varia(va)no da Comune a Comune, complicando però il lavoro degli investigatori se un fatto penalmente rilevante non viene denunciato subito ma settimane dopo e le immagini sono già state cancellate -, Respini riteneva “opportuna” una legge cantonale. Sulla videosorveglianza pubblica. Ebbene, è arrivata. O meglio, c’è un progetto di normativa pronto per l’esame parlamentare. L’hanno messa a punto la Cancelleria dello Stato e il Dipartimento istituzioni: il relativo messaggio, indirizzato al Gran Consiglio, è stato licenziato nei giorni scorsi dal governo. A proposito, il disegno di legge stabilisce anche la durata della conservazione dei dati. Articolo 15: “Le registrazioni possono essere conservate per una durata massima di 100 giorni, decorsi i quali vanno distrutte”.
L’articolo appena citato è il penultimo della normativa proposta dal Consiglio di Stato. Che se approvata dal parlamento, e al netto di eventuali referendum e ricorsi, sarà la prima legge cantonale ticinese volta a disciplinare la videosorveglianza pubblica, peraltro sempre più diffusa. “Negli ultimi anni – conferma il governo – il Cantone, i Comuni, gli enti statali e para-statali cantonali e locali, le Chiese ufficialmente riconosciute dallo Stato e i privati che assumono compiti di diritto pubblico utilizzano con sempre maggior frequenza sistemi di videosorveglianza su suolo pubblico per vari scopi quali la sicurezza e l’ordine pubblico, la verifica degli accessi limitati nei centri storici, la gestione dei rifiuti, la sorveglianza di infrastrutture pubbliche e la logistica”.
Ma perché una normativa cantonale? Spiega il governo nel messaggio: “Fatta eccezione per la videosorveglianza del demanio pubblico comunale, disciplinata nel diritto comunale, la videosorveglianza da parte di altri enti e istituzioni statali e parastatali cantonali e locali e delle Chiese ufficialmente riconosciute dallo Stato risulta attualmente priva di fondamenta legali”. Queste lacune, aggiunge l’Esecutivo, “possono essere colmate sia con regolamenti settoriali ad hoc sulla videosorveglianza (soluzione che, per quanto riguarda i Comuni, si tradurrebbe nello status quo), sia con una legge cantonale quadro sulla videosorveglianza pubblica”. Si è optato per quest’ultima. “Il gruppo di lavoro istituito dal Consiglio di Stato alla fine del 2020 allo scopo di verificare l’attuale prassi, il relativo quadro legale e le necessità di adeguamenti legislativi concernenti la sorveglianza pubblica in Ticino, propone la creazione di una legge cantonale quadro sulla videosorveglianza pubblica”, annota il governo. Per il gruppo di lavoro, una legge cantonale quadro “applicabile a tutti gli enti e a tutte le istituzioni statali e parastatali cantonali e locali e alle Chiese ufficialmente riconosciute dallo Stato permette di elevare e centralizzare la competenza legislativa presso il legislatore cantonale, disciplinando in un’unica volta, in modo uniforme, trasversale, aggiornato e vincolante, le principali definizioni, strumenti, modalità, regole e principi della videosorveglianza pubblica”. Non solo: “Una legge quadro garantisce una maggiore sicurezza del diritto, un’ampia autonomia residua dei Comuni e, per certi versi, una migliore economia del diritto tra Cantone e Comuni”.
La materia è delicata. La videosorveglianza pubblica infatti, sottolinea il Consiglio di Stato, “deve adempiere le condizioni poste dalle Costituzioni federale e cantonale per la limitazione di diritti fondamentali, in particolare l’esigenza di una base legale”. Alla quale “deve soggiacere un interesse pubblico”. E significativo è quello che dice al riguardo il primo articolo del progetto di normativa: “La presente legge ha lo scopo di proteggere i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini in relazione alla videosorveglianza pubblica e alle relative elaborazioni di dati personali”. Un concetto che «è senz’altro importante ribadire nella legge», osserva Felice Dafond, avvocato, sindaco di Minusio e presidente dell’Associazione dei comuni ticinesi: «Disporre di un quadro giuridico cantonale di riferimento è certamente opportuno per gli enti locali, anche per evitare che le disposizioni comunali siano in contrasto fra di loro o superate dalla giurisprudenza».
Campo di applicazione, modalità di videosorveglianza (osservativa, dissuasiva, invasiva), proporzionalità, trasparenza (articolo 11: “Il titolare garantisce un’adeguata informazione sulla videosorveglianza, segnatamente con cartelli indicatori possibilmente prima dell’entrata nel campo di visione delle singole
videocamere e in prossimità delle stesse”), sicurezza e conservazione dei dati: questi e altri gli aspetti disciplinati.
Parallelamente, e per dare forma legislativa al tutto, il Consiglio di Stato ha licenziato anche il corposo messaggio relativo alla revisione totale della legge cantonale sulla protezione dei dati personali. Il mondo cambia, il contesto tecnologico e sociale pure. Con “forti dinamiche evolutive e altrettanto forti effetti erosivi sui diritti e sulle libertà”, ricorda il governo. E il percorso non è agevole, anzi: “I conseguenti cambiamenti legislativi internazionali in ambito di protezione dei dati a monte della presente revisione – scrive nel messaggio l’Esecutivo cantonale – perseguono scopi tanto ambiziosi quanto difficili e, per certi versi, antitetici: garantire e rafforzare, da un lato, la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone rispetto alle attività di trattamento dei dati personali. Dall’altro, si vogliono ottimizzare i flussi internazionali di dati, rispettivamente la libera circolazione dei dati, contribuendo in particolare al progresso dell’economia digitale”.
Che fare, quindi? “Il diritto nazionale e cantonale sulla protezione dei dati non garantisce più un livello di protezione adeguato, e va quindi modernizzato. La Svizzera non è tenuta a recepire integralmente il nuovo diritto internazionale, ma deve garantire l’adeguatezza del proprio diritto interno col diritto superiore”.
Ebbene, il governo sottolinea che le novità del diritto internazionale sono fondate “sul rafforzamento di principi quali la limitazione della raccolta e dell’elaborazione dei dati, la trasparenza dell’elaborazione, la protezione dei dati in funzione dei rischi, la qualità dei dati e la sicurezza”. Inoltre, sono previsti “il consolidamento dei diritti delle persone e delle responsabilità dei titolari delle elaborazioni, in particolare gli obblighi della valutazione d’impatto di un’elaborazione sui diritti della persona nel caso in cui possa presentare un rischio elevato per gli stessi (...)”. Ulteriori elementi fondamentali della revisione sono “il potenziamento del controllo da parte degli incaricati della protezione dei dati, della protezione dei minori e del regime sanzionatorio”. Infine, il Consiglio di Stato informa anche come “è previsto il miglioramento della trasmissione transfrontaliera dei dati”.