Il fenomeno esploso negli ultimi anni desta grande preoccupazione. Mariano Cavolo della Supsi ne spiega i contorni e presenta una nuova formazione
È una realtà in drammatica espansione quella che vede sempre più bambini e adolescenti condurre una vita assoggettata a una forte sofferenza psichica. Da alcuni anni la diffusione delle patologie psichiatriche in Ticino, come nel resto della Svizzera, ha infatti preso a colpire un numero crescente di giovani, declinandosi prevalentemente in tre assi diagnostici: il disturbo borderline di personalità, lo scompenso psicotico e i disturbi del comportamento alimentare. Per contribuire a promuovere e migliorare la presa a carico di questi minorenni, agendo al contempo sulla prevenzione, da marzo del prossimo anno la Formazione continua - Area sanità della Scuola universitaria della Svizzera italiana (Supsi) proporrà un Certificate in advanced studies (Cas) in Pedopsichiatria.
Della gravità della situazione si è d’altronde reso conto da tempo anche il Consiglio di Stato, che nel documento programmatico per la Pianificazione sociopsichiatrica cantonale 2022-25 ha posto come progetto principale la creazione di un’Unità di cura integrata per minorenni ritenendo l’attuale offerta "inadeguata". E pure il Gran Consiglio, che lo scorso settembre ha dato il via libera all’unanimità a tale messaggio governativo, ha riconosciuto la necessità di investire soldi e risorse in favore dei giovani sempre più bisognosi di assistenza.
«Ci fa piacere che lo Stato finalmente stia riflettendo e agendo sul problema del disagio e del disturbo psichiatrico in età adolescenziale e giovanile, perché mancano strutture e un’adeguata risposta sul territorio», dice Mariano Cavolo, responsabile Formazione continua - Area sanità del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della Supsi, che evidenzia alcuni allarmanti dati statistici presentati dallo stesso governo: in Ticino tra il 2012 e il 2018 il tasso di pazienti dai 0 ai 18 anni trattati in ambulatorio da psichiatri o psicoterapeuti è aumentato del 42,7%, mentre quello di ospedalizzazione di questi pazienti è cresciuto del 27,7%.
«Capiamo che la politica ha i suoi ritmi, sappiamo che le reazioni dello Stato per rapporto a un bisogno non sono sempre puntuali e immediate perché i tempi sono legati a una serie di circostanze anche politiche», concede Cavolo, che però non è rimasto ad aspettare. Ed è contestualmente alla Pianificazione sociopsichiatrica cantonale che nasce l’offerta formativa Supsi pensata per quegli operatori che saranno chiamati a lavorare nell’Unità di cure integrate, ma non unicamente per loro. Il Cas, che avrà una durata di 7 mesi, è aperto anche e soprattutto «a tutti gli operatori sociosanitari, gli infermieri, gli educatori, che lavorano già in strutture destinate ai minori che possono essere confrontati con un disagio psichico o con una patologia psichiatrica – spiega Cavolo –. Il riferimento è a quei contesti di accoglienza e di cura presenti in Ticino che nel novero dei loro pazienti o utenti hanno a che fare con bambini o ragazzi che in certi casi presentano una doppia diagnosi, all’interno dei quali però gli operatori non hanno le necessarie competenze per gestire nel modo più corretto la tipologia di problematiche in questione».
Come accennato, le principali casistiche sono tre. «La prima in assoluto è il disturbo borderline di personalità – rende noto Cavolo –. Si tratta di un disturbo che è piuttosto difficile da intercettare nei suoi esordi perché molti di questi ragazzi giungono a segnalazione psichiatrica solo quando cominciano a commettere qualche piccolo reato. È infatti frequente che nei loro comportamenti siano piuttosto esuberanti e infrangano a volte la legge, non perché siano delinquenti ma perché è un loro modo di richiamare aiuto per rapporto a un disagio molto forte che provano. Purtroppo spesso dalla società il loro viene considerato come un disturbo di condotta, per cui prima di tutto si attiva la polizia e successivamente i servizi di cura. Ma a monte c’è un problema di ben altro tipo».
Al secondo posto della triste classifica si trovano i casi molto precoci di scompenso psicotico. E anche in questa categoria non di rado si incappa in fraintendimenti. «A volte i quadri psicopatologici non sono totalmente chiari – afferma Cavolo –. Capita che agli esordi psicotici alcuni ragazzi inizino a percepire che c’è qualcosa che non funziona più molto bene nella loro testa e nelle relazioni con gli altri. Cominciano ad esempio a sentire delle dispercezioni strane che magari non necessariamente sono già subito delle voci formate udite nella loro mente. E dal momento che qualcosa non funziona, trovandosi in un’età di passaggio come l’adolescenza in cui i comportamenti a rischio sono abbastanza tipici, alcuni si rendono conto che assumendo sostanze, bevendo o fumando, il volume delle dispercezioni che recepiscono confusamente si allevia un po’. Quindi paradossalmente si autocurano con le cause di una possibile altra patologia psichiatrica che è la dipendenza da sostanze o da alcol. Per questo spesso giungono a segnalazione psichiatrica e quindi vengono curati come giovani tossicodipendenti mentre in realtà assumono sostanze per cercare di lenire i sintomi di uno scompenso psicotico ingravescente».
In terzo luogo ci sono i disturbi del comportamento alimentare (Dca), come anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata, «che oggi rappresentano un grosso problema – considera Cavolo –. Comunemente era una patologia che riguardava prevalentemente le ragazze, ma ora ci sono dei dati che fanno capire come sempre più anche i ragazzi ne siano colpiti». Su questo tema, durante l’ultima sessione di Gran Consiglio nell’ambito delle domande dei gruppi sul Preventivo 2023 fatte ai capodipartimenti, rivolgendosi al direttore della Sanità e socialità (Dss) Raffaele De Rosa diversi parlamentari hanno chiesto un maggior impegno per affrontare i Dca esplosi con la pandemia. «Da parte del Consiglio di Stato c’è molta sensibilità per il problema che tocca in particolare i giovani – ha risposto il consigliere di Stato –. Ci siamo attivati per potenziare gli spazi di cura grazie all’approvazione della Pianificazione sociopsichiatrica. Ma è importante ricordare che non è solo questione di posti letto bensì anche di disporre delle competenze adeguate per affrontare interventi complessi che richiedono differenti specializzazioni mediche e sociali». E proprio in questo può venire in aiuto l’iniziativa della Supsi con il Cas in Pedopsichiatria.
Gli obiettivi del corso sono molteplici e ben definiti. Innanzitutto vi è quello di chiarire il quadro giuridico e istituzionale della presa a carico dei preadolescenti e adolescenti. «Gli adulti hanno caratteristiche diverse dai bambini e dai ragazzi. Esiste ad esempio il grosso problema che oggi gli adolescenti con problematiche relative alla salute mentale in Ticino finiscono prevalentemente nelle cliniche psichiatriche che però sono luoghi di cura e accoglienza per adulti», rende attenti Cavolo. Una convivenza inopportuna, censurata anche dalla Commissione nazionale per la prevenzione della tortura. «Gestire la presa a carico di un adulto non è la stessa cosa che occuparsi di un minorenne e bisogna esserne consapevoli».
Lo scopo è poi di approfondire da un punto di vista antropologico, sociologico e fenomenologico le nuove realtà adolescenziali e le manifestazioni di crisi e rottura in questa fase della vita. «Spesso e volentieri un giovane adolescente senza problematiche o disturbi particolari può presentare degli atteggiamenti un po’ grossolani o fuori dalla norma che sono caratteristici di quel momento particolare della vita. Riuscire a riconoscere i comportamenti compatibili con una fase di sviluppo e a distinguerli da quelli che invece sono dei prodromi, dei primi segnali di un disagio o di un disturbo psichico, è un aspetto fondamentale per chi si occupa della cura di questi ragazzi».
Il corso è volto anche a conoscere i principali quadri psicopatologici dell’età evolutiva per poi sviluppare piani assistenziali che considerino lo sviluppo dei giovani pazienti, sostenendo la scolarità e la famiglia. «Nell’approntare tali piani di cura è infatti necessario tenere conto che i giovani non sono soli, c’è una famiglia che va sostenuta e aiutata, c’è una scolarità che in qualche modo va riagganciata e recuperata, perché spesso si tratta di ragazzi che si ritrovano a casa privati dell’importante funzione svolta dalla scuola a livello di sviluppo emotivo e di socialità – osserva Cavolo –. Quindi serve un intervento che consideri anche la famiglia e la possibilità di recuperare l’aspetto della scolarità».
Tra gli obiettivi figurano poi quelli di imparare a condurre una procedura di osservazione e valutazione, a riconoscere e gestire le proprie emozioni nell’incontro con i preadolescenti, gli adolescenti e i loro familiari, nonché a sviluppare le attitudini relazionali adeguate. «Parlare con un adulto è una cosa, parlare con un ragazzo un’altra, parlare con un ragazzo che ha problematiche psichiatriche un’altra ancora. Trattandosi inoltre di una formazione per adulti, il confronto e la stimolazione critica tra pari, tra professionisti che hanno maturato esperienze sul campo, è molto arricchente».
L’ambizione della formazione è pure di contribuire alla definizione e implementazione di progetti terapeutici e di reinserimento sociale integrati. «Oggi a livello ambulatoriale si lavora molto sul concetto di cure integrate – rimarca Cavolo –. Questo significa che più istanze terapeutiche collaborano al fine di trovare la migliore strategia di cura anche per mantenere il più possibile il paziente al proprio domicilio anziché sottoporlo a ricovero. È importante applicare il concetto di cura integrata anche a questi minori».
In ultima battuta vi è lo scopo di acquisire quelle competenze che permettano di gestire situazioni ad alta complessità in équipe multiprofessionali e in collaborazione con le strutture di rete territoriali. «Si tratta di lavorare insieme, quindi tra infermieri, medici, educatori, psicologi, assistenti sociali, famiglia, scuola, Istituti aprendo una rete di necessari contatti che vanno gestiti e coordinati, e questa è una grossa sfida. Perché basta che qualcuno lavori di testa propria per vanificare tutti gli sforzi. A maggior ragione con dei ragazzi che in diversi casi sono molto sfidanti di un sistema o di una rete che si cerca di mettere loro attorno. È molto bello e affascinante occuparsi di questi giovani, ma allo stesso tempo è anche molto complesso e delicato – valuta Cavolo –, per questo ci vogliono competenze adeguate».
Insomma, «questo prodotto formativo inedito – ricapitola il suo ideatore –, come peraltro è negli intenti della formazione continua della Supsi, si prefigge di lavorare a stretto contatto col territorio per coglierne i bisogni, quando possibile anticiparli, e fornire un’offerta innovativa e al passo con l’evoluzione delle sfide nel tempo». L’auspicio di Cavolo è dunque che «venga colto da molti professionisti in modo proattivo come una possibilità di dotarsi di strumenti per poter rispondere nella maniera più consona possibile a dei bisogni che sono oggi estremamente importanti e impellenti».
Le iscrizioni a questa offerta formativa scadono il 31 gennaio. Maggiori informazioni al seguente link.