Ticino

Vaiolo delle scimmie, Merlani: ‘Poco contagioso, decorso blando’

Il medico cantonale rassicura circa la diffusione e i rischi della malattia dopo il primo caso identificato in Ticino

(Ti-Press)
23 giugno 2022
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C’è un primo caso di vaiolo delle scimmie anche in Ticino. È risultato positivo martedì, non ha avuto bisogno di ricovero, è in cura ambulatoriale, le sue condizioni di salute non destano particolari preoccupazioni e al momento la persona si trova in isolamento presso la sua abitazione. Il contagio è avvenuto verosimilmente all’estero, i suoi contatti sono già stati rintracciati e invitati a controllare attentamente il loro stato di salute per le prossime tre settimane.

Con 46 casi registrati fino a ieri in Svizzera e 3mila in Europa, America e Australia – e i nervi già scoperti dopo due anni di coronavirus – è naturale chiedersi se sia il caso di preoccuparsi. Lo chiediamo al medico cantonale Giorgio Merlani.

Dottor Merlani, il nome ‘vaiolo’ evoca una malattia ormai eradicata che nel mondo, ancora negli anni Sessanta, causava un paio di milioni di morti ogni anno. Quello delle scimmie, però, appare molto meno contagioso e pericoloso. Qual è il quadro della situazione in Ticino?

Il paziente sta attraversando un decorso sostanzialmente blando, come succede perlopiù con questo virus. È possibile che dopo questo caso ne arrivino altri, ma non è il caso di fomentare allarmismi. Non siamo di fronte a una pandemia e il vaiolo delle scimmie non va confuso con il morbo debellato nel secolo scorso: la sua capacità di diffusione, il tasso di mortalità e quello di ospedalizzazione sono ben lontani da uno scenario di tipo pandemico. Resta naturalmente il fatto che come autorità cantonale ci siamo subito mossi per contenere la situazione, isolando il paziente e identificando anzitutto i contatti più stretti.

Quarantene, contact tracing: termini che evocano ricordi spiacevoli.

In questo caso però, data la bassa contagiosità, ci rivolgiamo solo ai contatti più stretti e chiediamo semplicemente loro di tenere d’occhio il proprio stato di salute. Possono però uscire e andare a lavorare. Il vaiolo delle scimmie non si trasmette semplicemente andando a bere una birra con gli amici.

Ecco, come si trasmette?

Si può avere un passaggio da un animale – un primate, ma soprattutto un roditore – all’uomo, oppure da una persona all’altra, tramite uno scambio di goccioline respiratorie o di altri liquidi corporei. È anche possibile il contagio da lesioni cutanee o tramite oggetti contaminati di recente, ma come detto, la diffusione non è così facile come col coronavirus. Tant’è vero che da maggio in Occidente riscontriamo poche migliaia di casi, con decorsi gravi che si contano sulle dita di una mano. È una malattia fastidiosa, che potrebbe diffondersi ulteriormente, ma i numeri non hanno nulla a che vedere con la recente pandemia.

Parecchi dei primi casi identificati in Europa – in particolare nel Regno Unito – manifestavano una catena di contagio legata a rapporti sessuali tra persone di sesso maschile. Ma c’è davvero una maggiore correlazione tra questo tipo di rapporti e il contagio?

In realtà è molto importante evitare di creare uno stigma sociale che non risponde a quanto osserviamo sulla diffusione della malattia, che può sì essere legata a rapporti sessuali tra uomini, ma anche a molti altri tipi di scambi interpersonali relativamente intimi. D’altronde abbiamo già visto, anche in Svizzera, casi in cui non è stato possibile identificare univocamente il veicolo di contagio, tra cui alcune donne. Peraltro, come ci insegna l’esperienza con l’Hiv, è pericoloso ritenersi al riparo da un virus alla luce di una sua ghettizzazione senza basi scientifiche.

Quali sono i sintomi?

Inizialmente possono presentarsi dolori muscolari e alla schiena, linfonodi ingrossati, mal di testa, febbre. Entro i tre giorni si verifica la fastidiosa eruzione cutanea caratteristica della malattia, con vescicole o pustole che si estendono normalmente a partire dalla testa fino al resto del corpo.

E come si cura?

Il paziente – che deve restare in isolamento per un tempo dipendente dal decorso della malattia – viene trattato a seconda dei sintomi, quindi con antinfiammatori, antipiretici e trattamenti topici da applicare sullo sfogo cutaneo. Particolare attenzione è dedicata a eventuali casi immunosoppressi e in caso di gravidanza. C’è anche una molecola utilizzabile specificamente contro il vaiolo delle scimmie, che al momento non è omologata in Svizzera, ma se ve ne fosse bisogno non ho dubbi che l’omologazione e la realizzazione di ampie scorte seguirebbero in breve tempo.

Si ritiene che il vaccino per il vaiolo umano crei comunque una buona immunità, attorno all’85% dei casi di esposizione. È ipotizzabile una campagna vaccinale ad hoc?

L’attuale situazione è tale che il rapporto costi/benefici sarebbe troppo sbilanciato. Va ricordato che il vaccino antivaiolo – la cui somministrazione in Svizzera è stata sospesa nel 1972, sicché i più anziani sono comunque immunizzati – può avere effetti collaterali ben più fastidiosi di quelli del recente vaccino anti-Covid. Siamo comunque lontani dallo scenario che renderebbe necessaria una campagna di massa.

Il vaiolo delle scimmie – diffuso soprattutto in Africa centrale e occidentale – è stato identificato nel lontano 1958. Perché assistiamo a un’ondata globale di contagi proprio ora?

Sulle ragioni di questa aumentata diffusione possiamo solo formulare alcune ipotesi. Una è che la fine della campagna vaccinale mondiale contro il vaiolo umano – ritenuto eradicato nel 1980 – abbia portato oggi a una minore immunità anche contro quello delle scimmie. Questo si combina con la maggiore prossimità tra giovani dopo due anni di pandemia, che potrebbe avere agevolato il passaggio da persona a persona. Il ritorno a un’elevata mobilità internazionale avrebbe infine permesso la diffusione anche fuori dall’Africa.

È possibile che il virus si diffonda sempre più facilmente grazie alle mutazioni, come è capitato col coronavirus?

Il vaiolo delle scimmie è un virus ‘a Dna’, non a ‘Rna’ come il coronavirus. Ciò implica che sviluppi un enzima di controllo che tende a eliminare varianti rispetto all’‘originale’. La possibilità che muti – e che di conseguenza ne aumenti la contagiosità – è dunque molto ridotta, ma fa parte delle ipotesi alla base della maggior diffusione attuale.

Si tratta di un virus che viene dagli animali. Può succedere che vi ritorni, contagiando in particolare i nostri animali domestici?

In effetti, in caso di contagio è importante non entrare in contatto con gli animali, in particolare i mammiferi. Questi potrebbero contagiarsi ed eventualmente trasmettere il virus ad altri animali, soprattutto roditori. Si rischierebbe dunque la creazione anche in Europa di un ‘reservoir’, di un ‘serbatoio’ virale endemico nella fauna che potrebbe poi di tanto in tanto ritornare all’uomo.

La Confederazione dispone di un piano d’azione specifico contro questa malattia?

Non è necessario, tanto più che di solito si ipotizza la diffusione di questo genere di virus in ragione di particolari flussi migratori, mentre non è proprio questo il caso. La routine rimane sempre quella che deve valere per tutte le catene di contagio: riconoscere, testare, isolare, tracciare. Ma si lavora su manuali e raccomandazioni di gestione della crisi attuale.

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