Il sì al decreto. Il deputato Udc: ora c’è un chiaro indirizzo politico. Ghisletta (Ps): pronti a dare battaglia
«Una sorpresa. Una sorpresa positiva!», gongola Paolo Pamini. Il deputato democentrista non se l’aspettava un risultato così netto a favore del decreto legislativo, che chiede il pareggio dei conti del Cantone entro fine 2025, agendo prioritariamente sulla spesa pubblica. E meglio, contenendone la crescita. Concepito in casa Udc – ovvero dal capogruppo in parlamento Sergio Morisoli e dallo stesso Pamini che ne ha redatto il testo («Affinato di concerto con deputati liberalconservatori di vari partiti») –, approvato dalla maggioranza del Gran Consiglio lo scorso ottobre e impugnato tramite referendum (circa diecimila firme) dal sindacato Vpod con il sostegno della sinistra, il decreto ha ottenuto oggi l’avallo del popolo. I sì hanno sfiorato il 57 per cento. Dalle urne un verdetto chiaro. Bassa la partecipazione al voto: si è espresso il 38,3 per cento dei cittadini ticinesi aventi diritto. «L’elettorato di sinistra e sindacalizzato di solito si mobilita su temi sensibili, a maggior ragione quando una votazione prende una piega ideologica: questa mobilitazione invece non c’è stata – osserva Pamini –. L’altra sorpresa, positiva, è questo 57 per cento di votanti che ha sostenuto il decreto. Addirittura a Bellinzona i sì hanno superato il 51. E parliamo di una Città dove risiede un buon numero di dipendenti cantonali e politicamente socialdemocratica».
Secondo Pamini, l’esito della consultazione popolare potrebbe avere più spiegazioni. «Forse si ritorna con i piedi per terra, sapendo che i conti pubblici devono comunque tornare. Forse – aggiunge – è passato il messaggio che il Ticino, dati alla mano, non è tra i cantoni fiscalmente più attrattivi e che quindi non c’è spazio per incrementare le imposte. Forse si è capito che non chiediamo tagli ma che chiediamo, con questo decreto, di contenere l’aumento della spesa pubblica». E poi ci sarebbe stato di recente una sorta di autogol commesso da chi si batteva contro la ricetta Morisoli/Pamini. «Un paio di settimane fa – ricorda il parlamentare – il copresidente del Ps Sirica e Noi dei Verdi hanno proposto un progetto pilota per ridurre la settimana lavorativa dei funzionari a quattro giorni, con lo stesso personale e a parità di salario. In pratica è come affermare che in seno all’Amministrazione cantonale anche lavorando quattro giorni si può garantire gli stessi risultati, aumentando la produttività del 20 per cento. Basterebbe allora, rilevo, sostituire solo parzialmente i dipendenti partenti dell’Amministrazione per contribuire al contenimento della spesa per il personale. Qui la sinistra apre finalmente e un po’ a sorpresa le porte a un dibattito, che peraltro dobbiamo fare, sulla meritocrazia e sulla gestione per obiettivi». Il decreto è passato: avete commissariato il Consiglio di Stato con il mandato popolare? «Ringrazio anzitutto il fronte sindacale per aver lanciato il referendum, perché è importante a un certo punto confrontarsi con il popolo. Ciò premesso – continua Pamini –. È il governo che lo scorso anno ha richiesto un input anche del parlamento per il risanamento dei conti. Se proprio, è il Consiglio di Stato che si è autocommissariato. Fatto sta che il governo sta lavorando a un piano finanziario di rientro proprio come quello proposto dal decreto. Oggi i cittadini e le cittadine ticinesi hanno pertanto legittimato i lavori in corso del Consiglio di Stato». Dunque un decreto pleonastico? «No. È un decreto che dà un chiaro indirizzo politico e ha conseguenze concrete. Blocca il moltiplicatore cantonale d’imposta al massimo al 97 per cento fino al 2025 incluso, sempre che il Gran Consiglio non voti diversamente in futuro. Inoltre, a differenza della manovra di rientro del 2016 non si risaneranno i conti scaricando la Peppa Tencia sui Comuni e sui meno abbienti, poiché a destra e sinistra siamo tutti coscienti della loro fragile situazione» Anche il ceto medio potrà dormire sonni tranquilli? «Intanto un po’ di incubi sono stati spazzati via – dice Pamini –. Ripeto: ora è scritto nero su bianco che la pressione fiscale non aumenterà. Per il resto, in caso di crediti o di modifiche di legge ci sarà il passaggio in Gran Consiglio, con la possibilità quindi di lanciare il referendum».
«Probabilmente il titolo e il tema dell’oggetto sono stati percepiti come troppo astratti». È in questi termini che Raoul Ghisletta, segretario cantonale della Vpod – sindacato che ha lanciato il referendum – prova a spiegare la scarsa partecipazione popolare al voto. «Il fronte avversario ha fatto campagna ragionando sui massimi sistemi senza mai andare nel concreto dei tagli e anzi minimizzando tutto quanto dicevamo – valuta Ghisletta –. Questo alla fine ha portato a una certa confusione e forse molti non hanno partecipato perché non sapevano esattamente da che parte sta la verità». Verità che, osserva il segretario Vpod, verrà fuori da qui al 2025. «Abbiamo lanciato il referendum perché temevamo le conseguenze di questo decreto, in particolar modo per le case anziani, gli ospedali, le cliniche, la scuola – sottolinea Ghisletta –. E la preoccupazione è ora più alta che mai. Tutti affermano di voler migliorare questi settori, ma poi si sottraggono i mezzi per farlo, e così si rischia un peggioramento della qualità». Di fronte a queste prospettive il comitato referendario è pronto a dar battaglia: «Abbiamo comunque ricevuto il mandato da una parte importante della popolazione che ha condiviso le preoccupazioni espresse. Adesso staremo a vedere come l’offensiva neoliberista avrà il coraggio di manifestarsi». Per Ghisletta delle risposte arriveranno «già con il prossimo preventivo in autunno e in maniera più significativa con quello del 2024 dopo le elezioni cantonali. Ora la responsabilità è nel campo degli avversari, ma il nostro compito sarà quello di vigilare affinché non siano attaccati i servizi importanti per i cittadini». Come? «Punteremo l’attenzione sia sulle decisioni del Gran Consiglio, sia su quelle del Consiglio di Stato che saranno decisive in quest’ambito». Decisioni, queste ultime, che a differenza di quelle parlamentari non sono referendabili. «In caso di necessità valuteremo azioni sul piano sindacale, delle associazioni dei cittadini, degli utenti, dei consumatori, dei pazienti». Si è pronti anche alla protesta, insomma: «Bisogna immaginare una strategia di resistenza a tutto campo per impedire le ingiustizie».