Interi settori a ridosso della frontiera in crisi perché mancano lavoratori, attratti dalle paghe svizzere. ‘Si rischia la desertificazione produttiva’
È una fuga continua, quella dei frontalieri in Ticino, che nel primo trimestre di questo 2021 hanno sfiorato quota 75mila. A "scappare" dalla parte svizzera del confine sono anche gli autisti. A Como sono sempre più in crisi il trasporto pubblico, quello per le uscite scolastiche e i bus per i turisti. A vuoto i bandi per trovare autisti, nonostante gli incentivi per attrarre forza lavoro. Incentivi che non bastano a colmare il gap fra gli stipendi percepiti al di qua e al di là della frontiera. Un abisso tra la busta paga tricolore e quella rossocrociata. Anche l’ultimo bando dell’azienda del trasporto pubblico di Como per l’assunzione di 25 autisti che si è chiuso pochi giorni fa ha riproposto il copione degli ultimi mesi: un vuoto assoluto.
Quello degli autisti che Como non riesce a trovare è l’ennesimo campanello d’allarme di Confartigianato Imprese di Como e di Varese. Per le due associazioni la questione frontalieri è aperta da tempo: "Il confine rischia il deserto produttivo". È la drammatica previsione che trova d’accordo tutte le parti sociali, sia le organizzazioni sindacali che le associazioni produttive. Le Confartigianato Imprese delle Province pedemontane lombarde hanno reso nota una riflessione: "Per trovare una soluzione alla fuga di lavoratori nella vicina Svizzera abbiamo fatto un vero e proprio percorso, sfociato in un progetto di legge denominato ‘Aree di confine’. Il rischio desertificazione produttiva nelle aree a ridosso della frontiera ha ormai superato ampiamente la soglia d’allarme. Questo perché il numero più che significativo, e sempre crescente, di lavoratori frontalieri in Canton Ticino fa il paio con le altrettanto crescenti difficoltà da parte dei nostri imprenditori nel trovare, o trattenere, le migliori professionalità in azienda. Un problema che si evidenzia, come è naturale, in modo significativamente elevato nelle aree di confine, più esposte all’attrattività della vicina Confederazione e dei trattamenti salariali assicurati dalle sue imprese. Un fenomeno sul quale proviamo a lavorare dal 2017, anno nel quale abbiamo avviato il non facile percorso del progetto di legge ‘Aree di confine’ che, in sostanza, prevede di garantire un salario netto in busta paga più alto ai lavoratori italiani impiegati in aziende con sede entro i venti chilometri dal confine svizzero. Una soluzione di buonsenso, forse l’unica con reale efficacia nel breve termine, che darebbe agli imprenditori una boccata d’ossigeno in termini di continuità e qualità occupazionale e, di riflesso, un più alto livello di competitività".
La riflessione pone poi l’accento su un altro aspetto del problema: "Sappiamo che le imprese del comparto di confine investono, e molto, sulla formazione dei dipendenti nella speranza di trattenere coloro che con fatica hanno avvicinato al lavoro. Ma, spesso, a formazione conclusa sono costrette a fare i conti con una fuga non solo di collaboratori ma anche di competenze fondamentali per resistere e competere sul mercato. La criticità del quadro è avallata dai dati, poiché oggi non solo è difficile trattenere ma anche inserire. La difficoltà nel reperire le figure professionali ricercate si attesta, infatti, al 39,7%, valore superiore a quello di gennaio 2020 (38%) di 1,7 punti". A supporto di questa riflessione ecco i dati forniti dalle due associazioni degli artigiani: quasi introvabili gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche (77,0%), gli operai specializzati nell’edilizia e nella manutenzione degli edifici (67,2%), gli specialisti della formazione e insegnanti (63,2%), i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (63,2%), i tecnici della sanità, dei servizi sociali e dell’istruzione (62,5%), i conduttori di mezzi di trasporto (55,9%), gli operatori della cura estetica (51,8%) e gli operai nelle attività metalmeccaniche richiesti in altri settori (51,5%).
Come uscire da una situazione sempre più pesante? Nelle scorse settimane tra le pieghe della legge di Bilancio è stato accolto un ordine del giorno parlamentare che strappa una apertura del governo a valutare azioni che riguardano un regime fiscale incentivante per i lavoratori nelle aree di confine. Un passaggio importante ma con una prospettiva di attuazione di lunga gittata, quando invece serve un intervento strutturale sul cuneo fiscale, per alleviare una tassazione sul lavoro tra le più alte in Europa, e alla luce delle attuali difficoltà congiunturali. Per avere conferma è sufficiente confrontare le trattenute pagate dai frontalieri e dai lavoratori italiani.