La magistratura milanese ha avviato una nuova inchiesta a carico di quattro indagati per il rapimento e la morte dell’allora 18enne, avvenuti nel 1975
Si riapre una delle pagine più tragiche legate alla stagione dei sequestri di persona: quella del rapimento di Cristina Mazzotti, 18enne studentessa milanese sequestrata il 1° luglio 1975, a pochi metri dalla casa di Eupilio, sopra Erba.
Il corpo della giovane era poi stato ritrovato la sera del 1° settembre dello stesso anno, nella discarica di Galliate, in provincia di Novara.
Un ritrovamento reso possibile dalla confessione di Libero Ballinari, contrabbandiere ticinese, uno dei carcerieri della studentessa, che in una banca di Ponte Tresa, aveva depositato 56 milioni di lire, soldi provenienti dal riscatto di un miliardo e 50 milioni di lire che il padre della giovane, Helios Mazzotti, in seguito poi morto di crepacuore, aveva pagato per la liberazione della figlia.
Ballinari, messo alle strette, al delegato di polizia di Lugano, Gualtiero Medici aveva confessato che il corpo di Cristina, era stato sepolto nella discarica, sotto un carrozzina.
La magistratura milanese ha aperto una nuova inchiesta a carico di quattro indagati, personaggi della vecchia ‘mala’ milanese vicina alla ’Ndrangheta.
I pm milanesi Alberto Nobili, capo dell’antiterrosmo, e Stefano Civardi, della Direzione distrettuale antimafia, ai quattro indagati a piede libero contestano il concorso in omicidio volontario della 18enne, che fu la prima donna a essere rapita dall’Anonima sequestri al Nord Italia.
Una contestazione nel presupposto che "segregandola in una buca senza sufficiente aerazione e possibilità di deambulazione, somministrandole massicce dosi di tranquillanti ed eccitanti", ne abbiano "così cagionato la morte".
Gli indagati sono Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Romeo e Antonio Talia, che ascoltati dagli inquirenti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Per l’accusa sarebbero gli autori materiali del rapimento.
Dietro un compenso di 50 milioni di lire sequestrarono la giovane studentessa milanese. Un’impronta digitale sulla Mini in cui si trovava Cristina Mazzotti consentì nel 2007 di risalire a Latella, che ha sempre ammesso le proprie responsabilità, chiamando in causa Calabrò e Tallia.
La posizione del terzetto nel 2012 dai giudici di Milano è stata archiviata nel presupposto giuridico che, oltre al già prescritto sequestro di persona, anche l’omicidio volontario aggravato sarebbe stato prescritto.
Una sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione ha indicato imprescrivibile (con qualunque attenuante) il reato di omicidio volontario. Da qui la nuova inchiesta.
Libero Ballinari e il direttore della banca di Ponte Tresa sono stati condannati a Lugano. A sostenere l’accusa il procuratore Paolo Bernasconi. Nel 1977 in Corte d’Assise a Novara, tredici condanne (otto gli ergastoli). Sette dei condannati, fra cui Libero Ballinari, nel frattempo sono deceduti.