Una sentenza del Taf dà ragione alla Croce Rossa nel non riconoscere il titolo di studio conseguito da una donna in Italia, da lei ritenuto ‘più completo’
Non si tratta di verificare la violazione di un principio di buona fede, ma l’equipollenza di un diploma. Sono le parole del Tribunale amministrativo federale (Taf) che con sentenza del 29 marzo si pronuncia – respingendolo – sul ricorso di una cittadina italiana a cui non è stato riconosciuto il diritto di esercitare in Svizzera come ‘dietista’ benché in possesso di un titolo quale ‘biologa nutrizionista’ da lei ritenuto equiparabile e più completo. Il caso è quello di una donna che nel settembre 2020 ha presentato alla la Croce Rossa Svizzera (Crs) una domanda di riconoscimento del diploma di Laurea in alimentazione e nutrizione umana rilasciato nel 2016 dall’Università degli studi di Milano e completato da un’abilitazione all’esercizio della professione di biologo ottenuta presso l’Università degli studi di Pavia, finalizzata a esercitare come dietista in Svizzera. Domanda che la Croce Rossa ha respinto in quanto non sarebbe stata soddisfatta la condizione della Direttiva europea 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Stando a tale norma, infatti, "la professione che l’interessato intende esercitare può essere quella per cui è qualificato nel proprio Stato membro d’origine, se le attività coperte sono comparabili", ricapitola il Taf.
La donna, patrocinata da un avvocato del sindacato Ocst, ha deciso di impugnare la decisione in quanto a suo giudizio la Croce Rossa si sarebbe basata esclusivamente sulla denominazione delle professioni e non sul suo contenuto. A suo dire, il ‘biologo nutrizionista’ – così riporta le considerazioni della ricorrente il Taf – possiederebbe una formazione di cinque anni e potrebbe lavorare in maniera autonoma, elaborando e determinando diete nei confronti sia di soggetti sani, sia di soggetti cui è stata diagnosticata una patologia (con un accertamento del medico chirurgo), nonché sviluppando autonomamente profili nutrizionali, e si qualificherebbe come professione sanitaria. Dall’altro lato, il ‘dietista’ sarebbe un professionista dell’area tecnico sanitaria in possesso di laurea triennale, che svolgerebbe la sua attività in collaborazione con il medico allo scopo di formulare delle diete su prescrizione. Basandosi su queste considerazioni, secondo la donna sarebbe stato violato il principio della buona fede in quanto la Croce Rossa avrebbe potuto riconoscerle un diploma di ‘dietista’, mentre non accetterebbe il titolo più completo di ‘biologo nutrizionista’. Inoltre, sempre stando alle sue valutazioni, il fatto di essere attiva quale libera professionista nell’ambito della nutrizione clinica/ambulatoriale da oltre tre anni le avrebbe permesso di maturare un’importante esperienza sul campo che le consentirebbe di lavorare in Svizzera senza alcun problema.
Di giudizio diverso il Taf, che nella sua sentenza si allinea alla posizione della Croce Rossa. La quale, dopo aver consultato tra gli altri il Ministero della salute italiano, aveva ricevuto conferma che in ltalia "tra le professioni e le attività, nonché tra le formazioni di dietista e nutrizionista sussisterebbero differenze sostanziali e che le due professioni non sarebbero comparabili". Allo stesso modo, le attività che la ricorrente sarebbe autorizzata a svolgere "non corrisponderebbero a quelle che i dietisti Sup hanno la facoltà di esercitare in Svizzera". Per questo motivo secondo il Taf la Croce Rossa ha "a giusto titolo concluso l’inapplicabilità della Direttiva 2005/36/CE e proseguito all’esame se il riconoscimento fosse possibile con l’applicazione sussidiaria del diritto svizzero". Anche in questo caso però la legge (articolo 5 dell’Ordinanza sul riconoscimento delle professioni sanitarie) prevede l’entrata nel merito di una domanda solo se sono soddisfatte determinate condizioni, tra queste il fatto che "il diploma abilita il detentore del titolo di studio estero a esercitare la relativa professione nello Stato in cui ha conseguito il titolo". Dunque, secondo il Taf, la Croce Rossa ha "a giusto titolo concluso la non entrata in materia sulla base del diritto svizzero. Ne consegue che l’autorità inferiore (la Croce Rossa, ndr) non doveva pronunciarsi su eventuali misure di compensazione", come domandava invece in via subordinata la ricorrente, chiedendo di accettare il proprio titolo di studio con la riserva di effettuare un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale.