Lo ha deciso il Tribunale amministrativo federale per un richiedente asilo iracheno. ‘Non tenuti a chiedere garanzie di assistenza medica. In questo caso’
Sarà rinviato in Italia il cittadino iracheno che lo scorso giugno ha depositato una domanda d’asilo in Svizzera e in seguito ha subito tre ricoveri con diagnosi di disturbo post-traumatico da stress. Lo ha deciso il Tribunale amministrativo federale (Taf) con sentenza del 19 aprile, respingendo in modo definitivo il ricorso contro la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) che aveva stabilito la non entrata nel merito della domanda d’asilo ai sensi dell’accordo Dublino. Il trasferimento in Italia avverrà inoltre senza che la Sem sia tenuta a chiedere garanzie alle autorità italiane di un’assistenza medica e un alloggio adeguati. La motivazione risiede nel fatto che in Italia da dicembre 2020, con l’entrata in vigore del decreto legge 130/2020, è stato quasi integralmente abrogato il cosiddetto ‘decreto Savini’ e "le condizioni per richiedenti l’asilo particolarmente vulnerabili sono migliorate". Nel pronunciare la sua sentenza di riferimento, il Taf fa però un distinguo tra due tipi di situazione, quella delle persone che non hanno ancora chiesto asilo in Italia (casi detti "take charge") e quella delle persone che hanno già presentato una domanda d’asilo o la cui domanda è stata respinta (casi detti "take back"). La vicenda del cittadino iracheno rientra nel caso "take charge".
Prima di giungere in Svizzera l’uomo è stato in Italia per circa un mese, di cui due settimane in quarantena e altre due trattenuto con la forza in una stanza dai passatori che lo avevano condotto in Europa e minacciato di morte, fino al momento in cui non è stato in grado di pagarli. Fermato dalla polizia italiana che gli ha rilevato le impronte digitali, non ha però fatto richiesta di asilo. Una volta giunto in Svizzera, rappresentato da una legale della protezione giuridica di Sos Ticino, ha fatto richiesta di entrata nel merito della domanda d’asilo, mettendo in primo piano le gravi condizioni di salute psicofisica. Richiesta negata dalla Sem che ha osservato come, secondo il regolamento Dublino, lo Stato competente per lo svolgimento della procedura di asilo sia l’Italia. Paese in cui, ha valutato la Segreteria di Stato della migrazione, si presuppone che la persona in questione "non verrà a trovarsi in una situazione esistenziale difficile, e non verrà trasferita nel suo Paese d’origine o di provenienza in violazione del principio di non-respingimento".
L’uomo con la sua legale ha allora deciso di ricorrere al Taf in quanto a suo giudizio la Sem non avrebbe valutato in modo dettagliato le sue problematiche mediche né d’altra parte richiesto alle autorità italiane le garanzie necessarie per il suo trasferimento. Nella propria sentenza, il Taf dà ragione alla Segreteria di Stato della migrazione, ritenendo che dal profilo psichiatrico e psicologico abbia preso in considerazione "in modo completo ed esatto tutta la documentazione medica disponibile fino all’emissione della decisione". Considera inoltre che non vi siano elementi "per sospettare che le patologie diagnosticate – e ciò vale anche per una serie di altre problematiche riscontrate al setto nasale, alla vista, alla schiena e alla gamba – possano raggiungere un tale livello di gravità da configurare un rischio reale di peggioramento rapido e irreversibile" dello stato di salute dell’uomo, tali da comportare "delle intense sofferenze o una significativa riduzione della speranza di vita in caso di trasferimento del ricorrente in Italia". E questo "visto anche il contesto legislativo e fattuale ora vigente nello stesso Stato membro richiesto per l’accoglienza dei migranti".
Contesto legislativo che come detto è mutato dal dicembre 2020, quando è stata intrapresa una vasta riforma del sistema d’accoglienza dei richiedenti l’asilo che è stata esaminata in modo approfondito dal Taf. Dai risultati emerge che i richiedenti l’asilo, con le nuove disposizioni, "hanno nuovamente accesso al sistema di seconda accoglienza, e le persone vulnerabili – tra le quali anche le persone con disabilità o affette da gravi patologie (fisiche o psichiche) – hanno un accesso prioritario alle strutture Sai" (Sistema di accoglienza e integrazione). "Inoltre – evidenzia il Taf –, anche dovessero essere alloggiate temporaneamente in strutture di prima accoglienza, le stesse beneficeranno comunque delle prestazioni necessarie", in particolare "dell’assistenza sanitaria e del supporto psicologico, che vengono garantite dal diritto (reintrodotto) all’iscrizione anagrafica, e vengono inoltre prese in considerazione già in tali strutture particolari vulnerabilità dei richiedenti l’asilo".
Questo però vale solo per i richiedenti l’asilo che non hanno ancora depositato una domanda d’asilo in Italia, e che quindi non sono stati alloggiati in nessun centro di accoglienza nel Paese prima della loro partenza da uno Stato membro del regolamento Dublino. Per contro, ai richiedenti l’asilo per i quali è richiesta una ripresa in carico, ovvero coloro che hanno già presentato una domanda d’asilo in Italia o la cui domanda d’asilo è stata respinta, "occorrerà valutare ogni singola fattispecie", scrive il Taf. Ciò perché "nella categoria di questi ultimi richiedenti l’asilo, se affetti da gravi problematiche mediche, ora come prima, v’è la possibilità che agli stessi sia stato revocato il diritto all’alloggio" oltre al rischio che vengano "privati delle cure e dell’assistenza medica immediate e adatte alla loro situazione che vada al di là delle cure d’urgenza". In tali circostanze per il Taf occorrerà quindi ancora richiedere delle garanzie preliminari circa l’accesso immediato a una presa in carico medica e a un alloggio adatti, "altrimenti il loro trasferimento sarà considerato come illecito". Non è però il caso dell’uomo iracheno in questione, di cui – con la premessa di non volerne "in alcun modo sminuire lo stato di salute" – il Taf respinge il ricorso. La sentenza è definitiva.