Presentato il comitato referendario in vista del voto del 15 maggio. ‘A rimetterci sarebbe la qualità dei servizi alla maggioranza della popolazione’
«È una riconferma del fatto che non bisogna farsi prendere dal panico contabile». Reagisce così Raoul Ghisletta, segretario cantonale del sindacato del personale dei servizi pubblici e sociosanitari (Vpod), alla notizia che il consuntivo cantonale presenta perdite per 58 milioni anziché i 230 previsti a preventivo e dunque che le finanze cantonali stanno meno peggio di quanto prospettato. «Si tratta di una buona notizia per tutti che rende meno stressante la rincorsa affannosa al pareggio economico. Speriamo che rimanga tale e non ci siano 200 milioni di sgravi fiscali». Il pareggio a cui fa riferimento Ghisletta è quello che il Gran Consiglio ha stabilito di raggiungere entro il 31 dicembre 2025 "agendo prioritariamente sulle spese", come proposto dal cosiddetto decreto Morisoli. Decreto contro cui è riuscito un referendum. Proprio per lanciare la campagna sulla votazione cantonale che avrà luogo il 15 maggio – con la richiesta di «adottare un approccio meno unilaterale» – stamattina la Vpod ha organizzato una conferenza stampa per presentare il comitato referendario che si oppone al decreto, composto da sindacati, movimenti politici e partiti (questi ultimi terranno un incontro dopo Pasqua).
«Siamo preoccupati da una manovra finanziaria che non ha precedenti – premette Ghisletta –. Nemmeno Marina Masoni ha mai fatto una cosa del genere, le sue misure di risparmio erano bilanciate tra entrate e uscite. Questo decreto invece blocca la spesa. È una visione finanziaria ‘morisoliana’ e ‘paminiana’ di una minuscola realtà politica che è stata sposata da una stravagante maggioranza del parlamento». Parlamento che per Ghisletta «sta perdendo ogni senso della cultura politica. Un simile approccio comporterà un peggioramento della qualità dei servizi alla maggioranza della popolazione, da quelli sociosanitari alla scuola». Per il segretario Vpod anche i presupposti alla base di questo decreto sono «facilmente ridimensionabili e non allarmanti come vuol far credere una narrazione che parla di spesa fuori controllo. Se si calcola la somma della spesa cantonale e comunale, il livello medio della spesa del Canton Ticino si situa tra quelle più basse in Svizzera».
Il segretario cantonale dei Sindacati indipendenti ticinesi (Sit), Mattia Bosco, manifesta contrarietà a qualsiasi «ideologia che consideri il dipendente pubblico meramente come costo, come voce contabile sulla quale intervenire», ritenendo tali lavoratori «una risorsa essenziale e insostituibile nell’erogazione dei servizi di qualità». Per Giangiorgio Gargantini, segretario cantonale del sindacato Unia, «un buon servizio pubblico è quanto serve a tutti i lavoratori». A dimostrazione, il fatto che «il mondo dell’economia privata sta uscendo da due anni di pandemia devastanti anche grazie agli aiuti importanti dello Stato. Ma non è finita, all’orizzonte ci sono le conseguenze della crisi legata alla guerra in Ucraina, con già decine di domande di sostegno per evitare licenziamenti e sostenere aziende. Uno Stato con un cappio al collo non potrà agire e reagire di fronte a queste difficoltà». Dal canto suo Filippo Beroggi, coordinatore del Sindacato indipendente degli studenti e apprendisti (Sisa), punta il dito contro lo «smantellamento della scuola. Questo incide negativamente sul diritto allo studio e sulla pluralità e varietà dell’indirizzo educativo della scuola, eliminando progressivamente i saperi non ritenuti redditizi ed economicamente utili alla formazione di ogni individuo».
Silvia Rossi, responsabile Associazione svizzera infermieri (Asi) sezione Ticino, ricorda come in novembre sia stata approvata «con un nettissimo 61% l’iniziativa popolare ‘Per cure infermieristiche forti’. Questo decreto legislativo va però proprio nella direzione opposta a quanto richiesto. Se vogliamo migliorare la situazione anche in Ticino dobbiamo investire nella formazione e nel prolungamento della vita lavorativa dei nostri curanti». Per il segretario cantonale del sindacato Ocst, Roberto Cefis, «tagliare o limitare la spesa per "non mettere le mani nelle tasche dei cittadini" è una promessa falsa in quanto con questa impostazione l’effetto è proprio quello di peggiorare le loro condizioni, in particolare dei più deboli e fragili». Secondo Graziano Pestoni, presidente dell’Associazione per la difesa del servizio pubblico, si tratta di un duplice attacco. Da una parte «al servizio pubblico, impedendo contributi sempre più indispensabili per ridurre i premi delle casse malati, promuovere le cure dentarie, intervenire a favore dell’economia e dell’occupazione», dall’altro «alla democrazia, mettendo una museruola alle nostre istituzioni».
Daniela Pugno Ghirlanda, dell’Associazione per la scuola pubblica del Cantone e de Comuni in Ticino, spiega come l’esperienza insegni che «in occasione di taglio alla spesa pubblica la scuola è sempre stata chiamata alla cassa, talvolta con peggioramenti delle condizioni di lavoro degli insegnanti – un’ora in più nel 2004 –, in altre con rinunce a importanti riforme». Esprimendosi per il Forum Alternativo, Beppe Savary sostiene che «il decreto vuole sottrarre delle risorse allo Stato, necessarie più che mai, per indebolirlo. Questo permette di smembrare i suoi servizi e assegnare poi tutto quello che rende, sull’esempio della telefonia mobile o di Postfinance, ai privati. Soprattutto in tempi di crisi, lo Stato deve essere rinforzato. La pandemia dovrebbe insegnare».
Sull’onda di quest’ultima valutazione anche Tamara Merlo, di Più Donne: «L’iniziativa va a limitare l’azione del governo proprio in uno dei periodi storici di maggior incertezza. Senza dimenticare che le politiche di parità fra donna e uomo, la lotta alla violenza domestica e di genere, e ogni altra iniziativa per una società più equa e giusta sarebbero pesantemente limitate da tagli indiscriminati alla spesa e ai servizi».