Decreto Morisoli e votazione del 15 maggio, l’Associazione ticinese delle istituzioni sociali scrive alle Direzioni degli istituti
"Interventi radicali di risparmio, vincolati da obiettivi perentori come quelli proposti dal decreto legislativo, potrebbero comportare conseguenze dirette sulla qualità di vita e la sicurezza delle persone che frequentano le nostre strutture". Firmato Atis, Associazione ticinese delle istituzioni sociali. La votazione popolare si avvicina: il 15 maggio i cittadini e le cittadine ticinesi si pronunceranno sul decreto legislativo – varato lo scorso ottobre dalla maggioranza del Gran Consiglio e successivamente impugnato con successo dal referendum promosso dalla Vpod con l’appoggio della sinistra – che chiede il pareggio dei conti del Cantone entro fine 2025 agendo prioritariamente sulle spese. I contrari al cosiddetto decreto Morisoli parlano di tagli, i fautori del sì di contenimento della spesa pubblica. La posta in gioco è politicamente assai rilevante. In vista dell’appuntamento con le urne, l’Atis – che raggruppa gli istituti per invalidi, i centri educativi minorili e il settore delle dipendenze – ha scritto in questi giorni alle Direzioni degli istituti. Senza nascondere la propria preoccupazione per le possibili conseguenze derivanti dall’eventuale accoglimento del decreto. "Paralizzare qualsiasi nuova iniziativa e anzi ridurre le risorse, ci porterebbe a colpire direttamente la popolazione fragile che beneficia delle prestazioni definite nei contratti di prestazione e le rispettive famiglie ossia, indirettamente, l’intera società – sottolinea l’associazione nella lettera firmata dal presidente Mauro Mini e dal segretario Daniele Intraina –. Per questo motivo, vi invitiamo a esprimere la vostra presa di posizione alle urne affinché nelle discussioni parlamentari a venire sia privilegiato un approccio il più ponderato ed equilibrato possibile".
Prosegue la missiva: "I nostri ambiti hanno potuto negli ultimi decenni promuovere un importante sviluppo organizzativo e gestionale". Tramite contratti di prestazione "l’utilizzo delle risorse per svolgere i compiti richiesti" avviene "secondo precisi criteri di qualità e secondo i principi di efficacia e di efficienza". Negli scorsi anni, ricorda ancora l’Associazione ticinese delle istituzioni sociali, "abbiamo contribuito a innumerevoli esercizi di rientro finanziario trovando ogni volta delle soluzioni che non compromettessero la qualità delle prestazioni in favore degli ospiti e degli utenti dei nostri servizi". Continua la lettera: "Consapevoli delle difficoltà finanziarie con cui il Cantone si confronta, siamo ancora a disposizione per collaborare per trovare delle modalità ragionevoli di rientro finanziario. Tuttavia, ci preme rilevare come i margini di manovra si siano negli anni estremamente ridotti".
La missiva dell’Atis è datata 27 aprile. Proprio mercoledì rappresentanti di altre istituzioni sociali (quelle attive per esempio nei settori anziani, disabili, asili nido e centri extrascolastici) si sono espressi pubblicamente, anche loro con preoccupazione, sul controverso decreto legislativo. "Il Consiglio di Stato – ha avvertito nell’incontro con la stampa il direttore di Pro Infirmis Ticino e granconsigliere socialista Danilo Forini – ha più volte dichiarato che l’esito di questa votazione darà l’impostazione politica per diverse decisioni che coinvolgeranno anche i servizi e gli uffici cantonali che devono gestire mandati di prestazione e valutare nuovi progetti".
«La preoccupazione dell’Atis e delle associazioni in genere attive nel sociale è fondata – afferma il capogruppo del Ps in Gran Consiglio Ivo Durisch, da noi interpellato –. Se dovesse passare in votazione popolare, il decreto Morisoli andrebbe a incidere sui contratti di prestazione, diminuendo percentualmente il montante riconosciuto dal Cantone a questi enti. Ciò si ripercuoterà negativamente sulle condizioni di lavoro dei dipendenti, condizioni già difficili per il tipo di professione, e quindi sulla qualità delle prestazioni offerte agli utenti dei vari servizi». Osserva infine Durisch: «Se la spesa sociosanitaria è aumentata è perché sono aumentati i bisogni della popolazione».