L’iniziativa popolare chiede di abolirli in favore di un insegnamento ‘per gruppi eterogenei’. Sottoscrizioni da raccogliere entro l’11 luglio
«Non vogliamo improvvisarci ingegneri della scuola. Il nostro obiettivo è di creare più giustizia sociale e culturale abolendo i corsi A e B. Quello di definire le forme organizzative dell’insegnamento sarà un compito demandato agli esperti». Riassume così il segretario cantonale della Vpod Raoul Ghisletta l’essenza dell’iniziativa popolare lanciata stamattina a Bellinzona denominata "Basta livelli nella scuola media". Promossa dal sindacato del personale dei servizi pubblici e sociosanitari e sostenuta da quasi tutti i partiti di sinistra e da alcuni rappresentanti della società civile, fa seguito alla bocciatura parlamentare della sperimentazione per il superamento dei livelli proposta dal Decs. «Abbiamo riflettuto un paio di mesi a questo testo e a quale forma giuridica dargli – spiega Ghisletta –. Il concetto cardine è che nel secondo biennio non avviene più una divisione per livelli in tedesco e matematica in base alle note, ma l’insegnamento si fa per gruppi eterogenei di allievi». In caso il comitato iniziativista raccolga sufficienti firme – ne servono 7’000 entro l’11 luglio –, secondo il testo spetterà al Consiglio di Stato organizzare un’introduzione graduale della riforma per sedi durante tre anni. Questo di concerto con un gruppo di accompagnamento rappresentativo sia degli organi della scuola che delle associazioni di docenti, studenti e genitori. Al contempo è previsto di conferire un mandato esterno per verificare il carico di lavoro dei docenti e le risorse a disposizione dell’orientamento scolastico-professionale, «una questione essenziale nella transizione tra scuola media e percorso successivo», valuta Ghisletta. Una volta raggiunta l’implementazione, prenderà avvio una fase quadriennale dove la riforma verrà fatta oggetto di una valutazione scientifica esterna inviata ogni anno al parlamento che ne discuterà e apporterà i necessari correttivi. Un procedere definito da Ghisletta «per piccoli passi e secondo tempi ragionati».
Tra i sostenitori dell’iniziativa figura Marcello Ostinelli, del comitato direttivo della Società Demopedeutica. Fondata nel 1837 da Stefano Franscini, ha lo scopo di promuove la pubblica educazione e l’istruzione nel cantone. «Questa iniziativa è perfettamente conforme alle finalità della nostra società – dice Ostinelli –. L’ultimo monitoraggio dell’educazione in Ticino realizzato dalla Supsi nel 2019 mostra il carattere selettivo dei livelli. Lo status socio-economico degli allievi e delle loro famiglie costituisce un fattore importante, in taluni casi determinante, nella scelta dei corsi. Al contrario la scuola deve contribuire a compensare le disuguaglianze che sono un prodotto di circostanze di cui gli allievi non possono essere ritenuti responsabili». Dal canto suo il copresidente del Ps Fabrizio Sirica, contestualizzando l’iniziativa, torna sull’affossamento della sperimentazione: «Si è trattato di una contrarietà da politichetta, senza un vero dibattito sul merito, solo per colpire un consigliere di Stato (Manuele Bertoli, ndr). Questo a danno di migliaia di allievi e famiglie che vivono un’ingiustizia sociale profonda. L’ultima arma ora a disposizione è l’iniziativa popolare. Le alternative sono l’immobilismo o le controriforme a cui mirano certi partiti secondo cui servono addirittura più differenziazione e selezione». Dalle fila della Gioventù socialista Laura Guscetti argomenta che «chi ha i mezzi finanziari ed è seguito dalla famiglia può superare le lacune che incontra nel proprio percorso scolastico facendo ricorso anche a lezioni private. Ma in molti non hanno questi privilegi. Risulta inconcepibile che tale discriminazione sociale sia ancora presente in uno dei pilastri fondamentali dello Stato, la scuola dell’obbligo». Intervenendo a nome di Più Donne, Tamara Merlo si dice convinta che «il sistema attuale dei livelli va abbandonato perché pone eccessivo carico sulle allieve e gli allievi, in maniera immotivata. Bambini che fino a pochi mesi prima erano alle Elementari, già all’inizio della prima media vengono messi sotto pressione perché di lì a poco dovranno essere suddivisi in A e B». Tutto sbagliato, per Merlo: «Il tempismo, l’obiettivo, persino il nome, che sancisce un mero giudizio di valore tra chi è di serie A e chi di serie B».
Secondo Lorenza Giorla del ForumAlternativo, «da troppo tempo la scuola ticinese si definisce di qualità, ma purtroppo il termine qualità è spesso sinonimo di selezione, mentre i promotori di questa iniziativa vogliono una scuola nella quale le conoscenze, e non solo, vengano insegnate senza alcuna discriminazione. Qualità deve essere abbinata allo sforzo di affrontare le difficoltà di ogni singolo ragazzo dandogli l’opportunità di formarsi e realizzarsi adeguatamente». Il granconsigliere del Partito comunista Massimiliano Ay evidenzia quello che per lui è un dato politico importante: «La differenziazione strutturale nella scuola media non ha alcun ruolo né formativo né di orientamento. I livelli selezionano i ragazzi prima del dovuto e in base alla loro origine sociale e familiare e sono indegni di una scuola inclusiva e democratica. Ora è importante che anche la popolazione possa dire la sua dal basso perché le famiglie sono stanche di questo sistema iniquo». A nome della Gioventù comunista, Angelica Forni rilancia: «Al giorno d’oggi sono ancora troppi nella scuola gli ostacoli di natura economica e sociale per i giovani provenienti dalle famiglie con redditi più bassi. Basti pensare ai costi delle lezioni di ripetizione, alle condizioni per ottenere delle borse di studio o anche ai dati sulla salute mentale dei giovani, che fanno riflettere su come la scuola rappresenti un fattore di grande stress soprattutto per gli studenti con maggiori difficoltà». Filippo Beroggi, del Sindacato indipendente studenti e apprendisti, fa presente che «la divisione in livelli etichetta gli studenti scolasticamente in difficoltà. Si tratta di un meccanismo di riproduzione sociale che mantiene disuguale la ripartizione delle risorse e la cui presupposta meritocrazia risulta più uno strumento di legittimazione delle opportunità impari che di emancipazione sociale».